mercoledì 21 maggio 2014

Il miracolo del cinema indipendente

Il 2007 fu un’ottima annata per il Messico. Alla gala degli Oscar, la notte del 25 febbraio, il (nuovo) cinema messicano veniva ufficialmente riconosciuto da Hollywood e dal mondo intero con ben dieci esponenti candidati al prestigioso premio: l’attrice Adriana Barraza, lo sceneggiatore Guillermo Arriaga, i registi Alejandro González Iñárritu, Alfonso Cuarón e Guillermo del Toro, i direttori della fotografia Guillermo Navarro ed Emmanuel Lubezki, lo scenografo Eugenio Caballero, il montatore Alex Rodríguez e il tecnico del suono Fernando Cámara.

Si credeva, allora, che il cinema nazionale avrebbe dato molto di più negli anni a seguire, che avrebbe scoperto e lanciato a livello internazionale nuovi talenti per rivivere, in tempi moderni, la famosa Época de Oro. Invece, a parte gli applausi per Biutiful di Iñárritu, entrato nella cinquina dei nominati al miglior film straniero nel 2010, l’entusiasmo è andato via via scemando, tra una pandemia influenzale  H1N1  e sei anni di necrologi  60.000 morti (ufficiali) risultati dalla guerra al narco di Felipe Calderón.

Non che si sia smesso di produrre film da questa parte del mondo, solo che le produzioni cinematografiche messicane hanno attirato meno l’attenzione dell’industria internazionale. Fatta eccezione per Cannes, che quest’anno ha premiato Carlos Reygadas come miglior regista di Post Tenebras Lux e Después de Lucía di Michel Franco come miglior film nella categoria Un Certain Regard, in altri circuiti gli addetti ai lavori messicani non sono riusciti a ricevere la stessa accoglienza (anche se va detto che un totale di quarantadue produzioni nazionali hanno guadagnato qualche premio in sordina in giro per il mondo). Tant’e che alla corsa agli Oscar partecipa il solo José Antonio García, che con John Reitz e Gregg Rudloff ha firmato il sonoro di un film statunitense: Argo.

Poi però succede un fatto straordinario che esce dai soliti circuiti produzione-festival-premio e va al di là del successo in sala. Succede che un piccolo documentario riesca a portare un grande cambiamento nel pueblo dove è stato filmato. A Cuates de Australia, una località del municipio di Cuatro Ciénegas, nello stato di Coahuila, gli abitanti erano costretti a spostarsi nella stagione secca a causa delle avverse condizioni atmosferiche e sociali. Durante questo esilio forzato, uomini, donne, anziani e bambini attendevano l’arrivo delle prime gocce di pioggia per tornare alla loro terra. Almeno finché il regista messicano Everardo González non gira Cuates de Australia (uscito nelle sale messicane l’8 febbraio 2013) documentando l’esodo stagionale di questo popolo. 

Grazie al suo film – vincitore nel 2012 dei festival di Los Angeles e Guadalajara – nella località si è costruito un pozzo, e oggi la gente può aprire il rubinetto e avere finalmente acceso all’acqua. Magari in Italia, in Svezia o in Giappone nessuno ha sentito parlare di questa produzione cinematografica messicana, però per i 131 residenti di Cuates de Australia ha rappresentato un vero miracolo.

(uscito nel febbraio 2013 su Mexican Radio: una reporter in terra di mariachi, il blog che pubblico ogni mese su Freequency, la rivista per iPad che si può scaricare gratuitamente qui) 


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