sabato 13 giugno 2015

... non siamo mai state lontane

La ricordo ancora. Avrà avuto si e no 2 anni. Correva con i suoi capelli d’angelo biondi indiavolati al vento, il solo pannolino a coprire le sue nudità d’infante. Scappava dal mio abbraccio pestando con i suoi piedi morbidi il morbido prato di una lontanissima estate svedese. Fu amore a prima vista, quello libero da pregiudizi, che solo una cugina può provare per la sua cuginetta di due anni più piccola. 

In Messico, dove ormai vivo da più di un lustro, direbbero che è mia “prima hermana”, cugina-sorella, ovvero quel familiare che è figlio della sorella o il fratello di tua madre o tuo padre. Il tuo parente più stretto dopo i tuoi fratelli. Lara è più di una sorella per me. Io e Lara siamo cresciute insieme. Io vivevo nella periferia di Roma, lei a pochi passi da Ponte Milvio, ma tutti i fine settimana ci ritrovavamo a correre a perdifiato nel giardino che circondava la mia casa, ad arrampicarci sulle mimose, sbucciarci le ginocchia, perdere denti da latte, tuffarci sotto al getto degli irrogatoti d’acqua che noi chiamavamo “schizzi”, giocare a mosca cieca, organizzare spettacoli insieme alle nostre sorelle maggiori, andare a mangiare i pomodori dell’orto di mamma quando per punizione ci facevano saltare il pranzo, fare a gara di chi faceva scorrere la pipì più in là nel canalino e giocare a “te lo ricordi questo? te lo ricordi questo?”. 

Conosco anche tutte le sue manie, le sue paure, le sue ipocondrie, e per anni ho pensato che fossero solo una maniera per stare al centro dell’attenzione, finché poi non ci è finita davvero al centro dell’attenzione, in mezzo a un palcoscenico, ma le ipocondrie sono aumentate e ho capito che mi sbagliavo. La preadolescenza l’ho passata più da lei. Amavamo andare al parchetto a ballare i passi che avevamo imparato a danza o vedendo Fame - Saranno Famosi, sognare a occhi aperti i nostri giorni gloriosi a New York dove lei avrebbe fatto la cantante e io la ballerina e avremmo vissuto in un loft come quello di Flashdance. Poi la vita ci ha fatto allontanare, mi sono trasferita in Svezia, e la sua andata avanti seguendo quel percorso invisibile che l’avrebbe portata alla musica. 

Ci siamo ritrovate sul finire degli anni ’90, quando lei aveva da poco pubblicato il suo debutto, Lara I, e per la successiva decada siamo state inseparabili, vivendo in simbiosi e dando insieme l’ultimo morso all’età dell’innocenza. In Qui nel baratro tutto bene, che la vede cantante di una band, i Brönsøn, ci trovo la mia infanzia, la mia famiglia (la voce che apre l’album nell’intro svedese è di mia sorella Karen), le mie origini. Ci trovo la Lara di ieri e quella di oggi al di là degli anni, i silenzi e poi gli oceani che ci hanno separate e che infine sono stati cancellati perché, per dirla come lei, quando “cambi casa non puoi fuggire mai” (Generazione)… Ma soprattutto ci trovo una Lara più matura, che ha fatto tesoro dell’esperienza di Orchidea porpora, la sua opera seconda registrata e filmata tra Atlanta e New Orleans, e poi di Cerridwen, il terzo e ultimo album uscito in solitario, dei successi e delle false speranze, delle perdite e delle riconquiste. 

“Chiudi gli occhi, non siamo mai stati lontani” (Inverno). È come se parlasse a me, eppure parla a tutti, parla a se stessa. Canta, Lara, e io la sento. So cosa si nasconde dietro alle sue parole anche se lei “non è più la stessa” (La felicità). E allora, da lontano, vorrei stendere il braccio e arrivare a lei, come lei sta arrivando a me attraverso i brani del suo nuovo disco e dirle, accarezzandole i capelli biondi d’angelo indiavolati, “Andrà tutto bene. Qui nel baratro andrà tutto bene… Puoi smettere di contare”.

Questa è la recensione che avrei scritto se avessi potuto, quella che nessuno mi avrebbe pubblicato e che perciò pubblico da me.

Brönsøn
Qui nel baratro tutto bene
RBL Music Italia / Believe
5/5

Questa è invece l'intervista che è uscita su Freequency per iPad nel numero di maggio 2015 e che potete trovare anche nella versione web della rivista