venerdì 9 dicembre 2011

¿Tale figlia, tale padre?

Antefatto: sabato scorso alla Feria Internacional del Libro de Guadalajara durante una conferenza stampa veniva chiesto a Enrique Peña Nieto --candidato del PRI (Partido Revolucionario Institucional) alle presidenziali 2012--  quali tre libri lo avessero segnato. 

Colto alla sprovvista (perché che vuoi che ti chiedano a una feria del libro), Peña Nieto è entrato nel panico, ha assicurato che la Bibbia, della quale ha letto solo alcuni passaggi, è stata importante per la sua crescita, ha confuso titoli di libri e autori e si è arrampicato sugli specchi per cinque lunghissimi minuti. 

Il video della gaffe ha cominciato a circolare senza sosta nel web e tutti i principali programmi televisivi e radiofonici hanno ironizzato sulla defaillance del politico messicano. Come se non bastasse, il giorno dopo la figlia quindicenne del candidato priísta, Paulina Peña Pretellini, rispondeva personalmente alle beffe retweetando i saluti che il suo fidanzatino mandava a quei pendejos (coglioni) "proletari" che avevano criticato il papà.

Al ché lo scrittore e filosofo Héctor Zagal non ci ha più visto e ha scritto una lettera aperta a Paulina che pubblico qui sotto (per qualunque dubbio, c'è google translator), nella quale le dice, tra le altre cose: "Mi spaventa che tu abbia utilizzato l'espressione "proletari" come un insulto. Ti giustifico per essere arrabbiata per il fatto che tuo padre sia stato deriso, ma non giustifico il fatto che parli con disprezzo dei  lavoratori e degli operai". E ancora: "Tuo padre, che ha letto la Bibbia, ti potrà ricordare una frase di Gesù nel Vangelo: 'Poiché dall'abbondanza del cuore la bocca parla'. Senza volerlo, con le tue parole hai rivelato il tuo essere classista. Disprezzi il lavoro manuale. Sottovaluti chi si mantiene con i propri sforzi. ¡Che tristezza che questo è il pensiero di un candidato presidenziale!"
No tengo el gusto de conocerte personalmente. No sé cómo eres, desconozco tus cualidades, tus aficiones, tus intereses. Entiendo tu molestia al escuchar las críticas a tu padre, Enrique Peña Nieto. Son gajes del oficio. Deberás irte acostumbrando a los ataques contra él. En una democracia, la crítica es un ejercicio fundamental. Tu padre es una figura pública y, por ende, sus actos serán juzgados con rigor. “¿Por qué son tan duros con él?”, te preguntarás. Bueno, los funcionarios públicos ganan mucho dinero. 
Hay miles de personas dispuestas a sufrir críticas y cuestionamientos con tal de figurar en la nómina oficial. El sueldo bien vale esos golpes. ¿No?
Pero no es de tu padre de quien quiero hablar, sino de ti. ¿Te confieso algo? Me aterra que hayas utilizado la expresión “hijos de la prole” como un insulto. Insisto, es disculpable que te enfades por la burla hacia tu padre. No me asustaría que los llamaras “babosos”, “tontos”. Es más, no le preocupa el que nos hayas llamado “pendejos”. En cambio, no se puede excusar tu menosprecio a los hijos de los trabajadores, de los obreros.
¿Oíste del escándalo de las Ladies de Polanco? Descalificaron a un policía llamándolo “asalariado”. Algo similar hiciste tú: descalificas a la mitad del país por su condición social. ¿Qué tiene de malo ser hijo de un obrero? Sabes, yo soy nieto de un minero, un proletario. No me da vergüenza decirlo. ¿Te avergonzarías de tu padre si fuese un vendedor de tamales o un plomero?
Tu padre, que ha leído la Biblia, te puede recordar una frase de Jesús en el Evangelio: “De la abundancia del corazón, hablará la boca”. Sin pretenderlo, con tus palabras has revelado tu clasismo. Desprecias el trabajo manual. Minusvaloras a quienes se mantienen con su esfuerzo. ¡Qué tristeza que así piense la hija de un candidato presidencial!
“Hijos de la prole” son, en efecto, quienes estudiaron en escuelas públicas, quienes utilizan el metro, quienes no comen cortes argentinos y quesos españoles, quienes no utilizan zapatos de miles de pesos, quienes no se atienden en el hospital ABC, quienes no viajan en helicóptero. Los hijos de la prole, por el contrario, deben hacer largas horas de filas en las clínicas del seguro social, deben comer carbohidratos (tortillas), deben estudiar en salones sin computadoras, deben apretujarse en los transportes públicos. Los hijos de la prole, querida Paulina, ganan en un año lo que tu padre gana en una semana.
Cuando leas estas líneas has el siguiente ejercicio. Revisa lo que llevas puesto encima: perfume, cremas, desodorante, ropa, zapatos, celulares, aretes. Suma el total. ¿Sabes que traes encima más de lo que una indígena gana durante un año de trabajo duro?
Paulina, me da terror que pienses así. Tu lapsus reveló tu “realidad”: vives en una burbuja color de rosa. “Hijos de la prole” no es un insulto, sino un título honorable. Este país, que tu padre aspira a gobernar, depende de los obreros, de los campesinos, de los empleados, depende de esas personas a quienes menosprecias. 
Ojalá este gravísimo desliz, no sea fruto de la educación que recibiste en casa. Ojalá y sea culpa tuya, fruto de tu arrogancia (tan propia, eso sí, de la clase alta mexicana). ¿Qué será de México si lo llega a gobernar una persona que desprecia al proletariado?
Mira Paulina, me parece que por tu bien, debes inscribirte en una escuela pública, reducir tu escolta al mínimo, tomar el metro en horas pico, y ponerte a trabajar. Por si no lo sabes, muchos de los “hijos de la prole” se pagan sus estudios con su trabajo: los hay campesinos, vendedores, obreros. Algunos trabajan desde niños. 
Paulina, haz puesto en riesgo el futuro político de tu padre. Pero lo que es más grave: pones en peligro en riesgo el futuro de México.
Gracias Pau Pau, ahora ya sabemos lo que realmente piensa tu padre y como define con desprecio al Pueblo y Pais que quiere gobernar; o mas bien acabar de fregar. Ahora si "proletariados" voten por este padre orgulloso de la educacion que imparte en casa!

domenica 13 novembre 2011

Da grande voglio fare...

"Ti piace il lavoro di tua madre?" chiedo alla figlia treenne della mia collega (scrittrice, cineasta, folle ragazza madre di 44 anni) mentre questa sta cercando di scrivere alla svelta un testo prima che ci chiamino dalla radio per fare la rassegna della giornata a Oaxaca. È da una settimana che stiamo trasmettendo da questa città che si è trasformata in un centro culturale grazie a NovO 2011, un festival di letteratura, cinema, musica e pittura contemporanea. Lei ci pensa un attimo prima di rispondere.
"Sì..."
"E tu? Che cosa vuoi fare da grande?"
"Io da grande voglio portare al parco mia figlia!"
"[...]" 


giovedì 9 giugno 2011

Le vite degli altri

A pochi chilometri da questo pueblo, nei pressi di un rio, si trova un ristorante a conduzione familiare dove andiamo spesso a pranzo dopo la trasmissione, di quelli che ti offrono giusto un paio di scelte culinarie a base di pesce - alla griglia o arrosto. 

Ieri la proprietaria - una signora umile e generosa di nome Guadalupe - mi fa: "Loto, come si intitola il film di cui parlavi l'altro giorno in radio? Le vite... qualcosa" "Le vite degli altri" "Ecco, vorrei vederlo. Mi segni il titolo per favore e mi raccomandi qualche altro film?" 

È la cosa più bella che mi sia successa da quando ho iniziato il mio spazio di musica e cinema in radio.


sabato 16 aprile 2011

Ocean Star Titanic

Nell'ultima settimana non si è fatto altro che parlare dell'arrivo al piccolo porto di Santa Cruz dell'Ocean Star Pacific, la prima nave da crociera messicana ad operare sulla riviera del Pacifico e collegare la corrotta e pericolosa Acapulco alla paradisiaca e pigra Huatulco. In occasione di quello che si preannunciava l'evento della stagione, ieri ¡La Voz de la Noticia! ha trasmesso dalla terrazza del ristorante café che patrocina il mio spazio in radio. Da lì io e il negro avevamo la vista sulla Ocean Star Pacific attraccata al molo nella magnifica baia di Santa Cruz. Certo, al fianco della Celebrity Infinity la più piccola Ocean Star Pacific faceva un po' una figura barbina, ma a nessuno deve essere venuto in mente di organizzare lo show in un giorno in cui non erano previsti altri arrivi... Tuttavia la Corporación de Cruceros Nacionales SA, la compagnia messicana proprietaria della nave, avrebbe ancora potuto salvarsi la faccia se non fosse che...

Questa mattina mi è arrivato un messaggio dal negro in cui mi informava che nella notte un piccolo e apparentemente innocuo incendio scoppiato in sala macchine ha causato l'interruzione dell'energia elettrica. La Ocean Star Pacific ha smesso di navigare - nel suo rientro ad Acapulco - mentre si trovava a due chilometri dalla costa, al largo di Bahía San Agustín, praticamente a mezzora da qui. A bordo ci sono 1200 passeggeri e 450 uomini dell'equipaggio che in questo momento sono in attesa di essere riportati su terra ferma... 

Reginette del caffè

Pluma Hidalgo


Pluma Hidalgo è in cima della Sierra de Oaxaca, circondato da una foresta tropicale con cascate, colombi, gazze e tucani che abbellire il paesaggio, mentre la parte superiore del paese è coperto di nuvole basse.

Eccitato dalla descrizione di un amico che viaggiava con quei dollari di anni fa, siamo andati al Pacifico per trovare Pluma Hidalgo, circa 200 km da Oaxaca a Puerto Escondido, nei pressi di Pochutla, una città polverosa vivace ora diventano importanti centro commerciale che collega la costa per le montagne e le valli di Oaxaca e San Pedro El Alto.

Era Domenica e iniziato la giornata brillante come siamo andati in montagna attraverso piccoli borghi come San Roque e San Jose Chacalapa, dove si legge che un miglio è un sito di ecoturismo con piscina e hotel, ma il paesaggio tipico messicano ci distrae dai lettura. Inoltre, una donna con vestiti appena lavati e la testa cammina lentamente lungo il fiume. Le foreste tropicali stanno andando in giro per la strada e tutto appare pulito e tranquillo, appena il motore della nostra auto rompe il silenzio del luogo.

Pluma Hidalgo se encuentra en lo alto de la Sierra de Oaxaca, rodeado por un bosque tropical con cascadas, palomas, urracas y tucanes que embellecen el paisaje, en tanto la cima el pueblo se cubre de nubes bajas.

Entusiasmados por la descripción de un amigo que viajó por esos lares años atrás, nos dirigimos hacia el Pacífico para encontrar Pluma Hidalgo, a unos a 200 km de Oaxaca rumbo a Puerto Escondido, cerca de Pochutla, un pueblo activo y polvoriento convertido ahora en importante centro comercial que une la costa con la sierra y los valles oaxaqueños y de San Pedro El Alto.

Era domingo y comenzaba el día luminoso mientras nos adentrábamos a la sierra pasando por pequeños pueblos como San Roque y San José Chacalapa, donde leemos que a un kilómetro hay un sitio de ecoturismo con alberca y hotel, pero el paisaje típico mexicano nos distrae de la lectura. Más allá, una mujer con la ropa recién lavada y sobre la cabeza camina lentamente a lo largo del río. Los bosques tropicales van rodeando la carretera y todo aparece limpio y tranquilo, sólo el motor de nuestro auto rompe el silencio del lugar.

EN PLENO CAMINO
Prima di raggiungere boom del caffè della città ci sono ancora molte città e borghi, aziende agricole e El Vergel, San Juan Copalita, El Trapiche, La Guadalupa, dove la foresta si estende da 1 600 m sul livello del mare a 400 metri. Frutta, agrumi e alberi di banane linea mentre gli uccelli, che si distinguono per il loro colore blu, lunga coda e un ciuffo coronamento loro teste, soffermandosi sul vento che passa attraverso il fogliame verde. Le piantagioni di banane ampia indicano che la coltivazione, oltre a caffè, anche questo è molto importante.

Infine abbiamo Candelaria Loxicha a deviare verso Pluma Hidalgo e internato nel fango. Questa città si trova il caffè 1 340 m ed è stata fondata nel 1870. E 'stata la prima area bar aperti nella regione costiera. Si dice che la gente Pochutla Miahuatlan e si è avventurato in queste montagne dalle interessanti condizioni di terreno e del clima, della vegetazione e della temperatura, caratteristiche importanti che si riferiscono a queste colture. Così le prime piantagioni sono state stabilite, ma con il tempo, e a causa della crisi internazionale del caffè, le fattorie sono state abbandonate e inghiottite dalla giungla.

Antes de llegar al poblado cafetalero de Pluma hay aún numerosos pueblos y rancherías, fincas como El Vergel, San Juan Copalita, El Trapiche, La Guadalupe, en los que la selva se extiende desde los 1 600 m de altitud hasta los 400 msnm. Frutales, limoneros y platanales se alinean mientras las aves, que llaman la atención por sus colores azules, cola larga y un mechón coronando sus cabezas, atraviesan el viento deteniéndose sobre el verde follaje. Las amplias plantaciones de plátanos indican que su cultivo, aparte del café, es también aquí de gran importancia.

Finalmente llegamos a Candelaria Loxicha para desviarnos hacia Pluma Hidalgo e internarnos en la terracería. Este municipio cafetalero se ubica a 1 340 msnm y fue fundado en 1870. Fue la primera zona de café abierta en la región de la costa. Se dice que la gente de Miahuatlán y de Pochutla incursionó en estas montañas por las atrayentes condiciones del terreno y el clima, la vegetación y la temperatura, características importantes que se relacionarían con estos cultivos. Así se fundaron las primeras plantaciones, pero con el tiempo, y debido a la crisis internacional del grano, las fincas fueron abandonadas y tragadas por la selva.

Tuttavia, il caffè è la varietà chiamata piuma messicano di fama internazionale per il suo aroma pungente e distintivo. La qualità del terreno e delle condizioni ecologiche del bacino idrografico Copalita consentire coltura ottimale che copre 50 000 ettari, in aggiunta alla brezza marina dalla costa contribuisce alla qualità, dal momento che la zona ha un numero di molle consentendo un processo a umido di ciascuna azienda agricola.

Come una pianta, il caffè previene l'erosione, la "cravatta"il sole e fertilizzanti arricchiti nella stessa regione. Purtroppo, il passo abituale di uragani e di un terremoto di 6 ° nel 1998 ha danneggiato la regione, spingendo da qualche tempo una situazione difficile per gli agricoltori della Pen.

No obstante, el café denominado pluma es una variedad mexicana de gran reconocimiento internacional por su aroma penetrante y distinguido. La calidad de la tierra y las condiciones ecológicas de la cuenca del río Copalita permiten un cultivo óptimo que abarca las 50 mil ha, además de que la brisa marina de la costa contribuye a la calidad, pues la zona cuenta con una serie de manantiales que permiten un proceso húmedo en cada rancho.

Como planta, el cafeto evita la erosión, “amarra” el sol y enriquece los abonos de la misma región. Desafortunadamente, el paso habitual de los huracanes y un sismo de 6° en 1998 perjudicó la región, lo cual trajo desde hace algún tiempo una situación difícil para los campesinos de Pluma.

Tuttavia, qui la vegetazione ha il vantaggio di recuperare in fretta. Pluma Hidalgo è considerato il polmone della zona bassa di Huatulco e fornisce acqua a Pochutla e Huatulco. El Niño ha portato a una siccità che durò fino al giugno 1999 e portato a un calo della produzione di caffè quasi il 50%, che ha causato una parte della popolazione è emigrato negli Stati Uniti e in altre città vicine e lontane Oaxaca e lo stesso Pochutla.

Pluma Hidalgo ai lavoratori subordinati del lavoro raccolto dalla valle centrale e la popolazione raddoppia, si parla di cinque persone in più che vengono a lavorare nella raccolta del caffè.

Sin embargo, aquí la vegetación tiene la ventaja de recuperarse rápidamente. Pluma Hidalgo es considerado el pulmón de la zona baja de Huatulco y surte de agua a Pochutla y a las Bahías de Huatulco. El Niño dio lugar a una sequía que se prolongó hasta junio de 1999 y trajo como consecuencia una baja en la producción del café de casi 50%, lo cual provocó que una parte de la población haya emigrado a Estados Unidos y a otras ciudades lejanas y cercanas como Oaxaca y el mismo Pochutla.

Durante la cosecha Pluma Hidalgo emplea mano de obra de trabajadores provenientes del valle central y la población se duplica; se habla entonces de otras cinco mil personas que vienen a trabajar en el corte de café.

DESTRÁS DE LAS LEYENDAS
Non pochi di questi hanno fatto la storia di questa città. Per alcune abbiamo parlato con Lucio Ortega Lujan, che a 92 anni ed i ricordi nei suoi occhi che il posto è stato nominato per il liberatore Pluma Hidalgo Hidalgo, che è andato lì, ha lasciato la sua penna di punta. Dopo il silenzio, dicendo riparazioni Lucio è lì "in collina più alta, dove si mette un tag identico a quello della penna."

Ma non solo la storia di date e nomi, le tradizioni si intrecciano con storie e leggende tramandate di generazione in generazione, come la donna con le gambe Matlacíhuatl tacchino, che riprende, tra i popoli della lingua spagnola L'antica storia di La Llorona, le cui origini sono basati nel XVI secolo, quando i conquistadores attaccato il popolo azteco-Nahua del Messico, ma i ricercatori dicono che è ancora più antiche. E 'una, la storia storia o leggenda la metafora del fiume della vita che diventa il fiume della morte. Il protagonista è un fiume donna fertile e generosa, creando dal proprio corpo è povera e di una bellezza particolare, ricco di anima e spirito.

No pocas de éstas han conformado la historia de este poblado. Para conocer algunas hablamos con Lucio Luján Ortega, quien a sus 92 años y los recuerdos en los ojos cuenta que al lugar se le denominó Pluma Hidalgo porque el libertador Hidalgo, quien pasó por ahí, dejó su emblemática pluma. Después de guardar silencio, Lucio repara diciendo que es allí “en el cerro más alto, donde se pone una nube idéntica a esa pluma”.

Pero no sólo la historia se hace de datos y nombres, las tradiciones se tejen con cuentos y leyendas que pasan de una a otra generación, como la de la Matlacíhuatl, mujer con patas de guajolote, que retoma, entre los pueblos de la lengua española, la antiquísima historia de La Llorona, cuyos orígenes se asientan en el siglo XVI, cuando los conquistadores atacaron la población azteca-náhuatl de México, aunque los investigadores aseguran que es todavía más antigua. Es una historia, cuento o leyenda sobre la metáfora del río de la vida que se convierte en el río de la muerte. La protagonista es una mujer-río fértil y generosa, que crea a partir de su propio cuerpo; es pobre y de una belleza particular, rica de alma y de espíritu.

De La Llorona è conosciuto diverse versioni, ma l'essenza è che mi dispiace che vaga nella notte in cerca dei figli smarriti. Il Matlacíhuatl di Pluma Hidalgo è la donna con le gambe di tacchino e un abito bianco con un cappello che vola in aria. Egli appare di notte lungo il fiume, si ferma per portare l'acqua a catinelle, le unità e le unità con la sua presenza che passano da essa, una curva della strada di Loxicha a Pluma Hidalgo. Tutti i suoi abitanti sono consapevoli di quella curva, e, naturalmente, non hanno il coraggio di attraversare di notte, perché lui ha fatto, dicono gli indigeni, è scomparso.

De La Llorona se conocen diversas versiones, pero la esencia es ese lamento que vaga por las noches en busca de los hijos perdidos. La Matlacíhuatl de Pluma Hidalgo es la mujer con patas de guajolote y vestida de blanco con un sombrero que vuela en el aire. Se aparece por las noches a lo largo del río, se detiene a traer agua en baldes, espanta y ahuyenta con su presencia a quien pase por ahí, una curva en el camino que va de Loxicha a Pluma Hidalgo. Todos sus habitantes saben de esa curva, y por supuesto, no se atreven a cruzarla de noche, pues quien lo ha hecho, dicen los nativos, ha desaparecido.

UN RECORRIDO FINAL
Torniamo alla città di Penna, con la sua piazza centrale e la chiesa della stessa dimensione per le case, le stradine strette che salgono e scendono che incombe su tutto, lamiere di copertura luminosa oltre il mercato con i mercanti che vengono da altri villaggi a vendono ortaggi, frutta e altre specie, guava, arance, banane, cacao e cioccolato, tra gli altri dei prodotti coltivati ​​nella regione.

L'interno della chiesa è apparso in tutto il suo splendore con i colori sgargianti delle vesti dei santi, rosso, bianco e blu immagini sul suo calvario con nuvole dipinte sopra l'altare, l'odore di incenso e di nardo, che portano il Sincretismo messicano.


Volvemos al pueblo de Pluma, con su plaza central e iglesia de dimensiones iguales a las casas; de calles estrechas que suben y bajan asomándose por doquier, techos brillantes de lámina de hierro, más allá el mercado con los mercantes que vienen de otras rancherías a vender legumbres, frutas y otras especies, guanábana, naranja, plátanos, cacao y chocolate, entre otros de los pro-ductos que se cultivan en la región.

El interior de la iglesia aparece en todo su esplendor con los tonos chillantes de los vestidos de los santos, rojos, blancos y azules, las imágenes en su calvario con las nubes pintadas en el altar, los olores de incienso y nardos, que trasportan al sincretismo mexicano.

Consiglia a chi viaggia attraverso il Pacifico, vicino a Huatulco e Puerto Escondido, da non perdere Pluma Hidalgo, una zona di caffè contadino, paesaggio interiore e leggenda, gente amichevole e bambini sorridenti, un villaggio di alta montagna dove dopo la pioggia nuvole si accoppiano in silenzio.


Recomendamos a quien viaje por el Pacífico, cerca de Huatulco o Puerto Escondido, que no olvide pasar por Pluma Hidalgo, una zona cafetalera de campesinos, de paisaje interior y leyenda, de gente amable y niños sonrientes, un pueblo en lo alto de la sierra donde tras la lluvia las nubes se engalanan silenciosas.


SI USTED VA A PLUMA HIDALGO
Prendere l'autostrada numero. 200 che va da Puerto Escondido a Huatulco. Circa 70 km da Puerto Escondido è un diritto da crociera, Puerto Angel, a sinistra, Pochutla, Oaxaca. Prendere l'uscita di Oaxaca attraverso il paese fino a raggiungere Pochutla Loxicha Candelaria, circa 45 km. Arrivando a prendere la deviazione Loxicha Pluma Hidalgo, circa 12 km di sporcizia in montagna. Si consiglia cautela durante la stagione delle piogge a causa della caduta di acqua che attraversano alcuni tratti di sporcizia.

Tome la carretera núm. 200 que va de Puerto Escondido a Huatulco. A unos 70 km de Puerto Escondido hay un crucero –derecha, Puerto Ángel; izquierda, Pochutla, Oaxaca–. Tome la desviación a Oaxaca pasando por el pueblo de Pochutla hasta llegar a Candelaria Loxicha, a unos 45 km. Al arribar a Loxicha tome la desviación a Pluma Hidalgo, unos 12 km de terracería hacia la sierra. Se recomienda precaución en temporada de lluvias debido a las caídas de agua que cruzan algunos tramos de la terracería.




Agricultura

Es la actividad más importantes en este municipio, sobre todo en el cultivo de café.

Explotación Forestal

Esta actividad se desarrolla únicamente para la comunidad.

Explotación Minera

Parte de la población se dedican a trabajar de obreros en la mina de Titanio.

Comercio

Se desarrolla en la comercialización del café.

venerdì 15 aprile 2011

Ambulante (y algo más)

Sei anni fa il produttore messicano Pablo Cruz, fondatore della Canana Films, e i suoi due associati - gli attori e registi Gael García Bernal e Diego Luna - hanno ideato Ambulante, un festival itinerante che porta i documentari in luoghi dove altrimenti difficilmente verrebbero visti. Quest'anno, per la prima volta da quando ha aperto i battenti nel 2006, Ambulante Gira de Documentales è giunto anche in questo piccolo pueblo di due pescatori e un cane che si estende con le sue nove baie lungo la costa del Pacifico sud, a un paio di ore dalla Puerto Escondido di Gabriele Salvatores. 

Il miracolo si è compiuto grazie agli sforzi del Chivo, il direttore delle relazioni pubbliche - di anni ventotto - che per riuscire a portare la cultura a Bahías de Huatulco si è impegnato a trovare tutti gli sponsor che coprissero i costi (60mila pesos) in modo che l'ayuntamiento comunal (il Consiglio comunale) si potesse permettere di ospitare questo prestigioso festival spendendo appena sette mila pesos. L'evento che ha segnato la tre giorni di Ambulante a Huatulco è stata la partecipazione di Peter Martin, co-produttore di uno dei documentari in mostra, Waste Land. Diretto da Lucy Walker, il film segue passo passo lo straordinario progetto del celebre artista brasiliano Vik Muniz mentre racconta le storie dei cosiddetti catadores, questi raccoglitori che ogni giorno frugano tra il sudiciume e la spazzatura alla ricerca di materiale riciclabile a Gramacho Jardim, la più grande discarica del mondo che si trova nella periferia abbandonata di Rio de Janeiro.

Lunedì scorso, finita la trasmissione in radio, ci vengono a prendere quelli dell'ayuntamiento comunal e prima di dirigerci alla spiaggia per pranzare, passiamo all'Hotel a recuperare il produttore inglese e lo staff del festival formato da una canadese, una francese e un messicano, tutti e tre di stanza a Città del Messico. Viaggiamo a bordo di un Suv, una delle auto più sospette da queste parti, e siamo in otto, in troppi per passare inosservati, tant'è che nel nostro tragitto per la Entrega veniamo fermati da un blocco di marinos nei pressi del Sector Naval Militar di Santa Cruz. Ci chiedono di scendere dal veicolo e di metterci al lato della carretera. Uno dei marinos ci fa delle foto, Pepe gli intima di smettere, gli dice che per farlo ha bisogno di un permesso. In tutta risposta il capitano ci chiede se abbiamo armi a bordo. Pepe aspetta un po' a rispondere, lo guardo, è encabronadisimo, gli chiede di poter vedere il tesserino di riconoscimento. È un testa a testa. L'ispezione del Suv dura dieci minuti, il sole picchia sui nostri capi, i volti sono imperlati di sudore, io sogno una Pacifico ghiacciata. Quando infine ci lasciano andare, tiriamo tutti un sospiro di sollievo e in pochi minuti raggiungiamo il ristorante La langosta gorda, uno degli sponsor.

Ci sediamo in modo che io possa avere di fronte il co-produttore per l'intervista che abbiamo accordato. Peter Martin avrà si e no 38 anni, di bell'aspetto, longilineo, ha il classico volto e portamento dell'artista inglese, sciolto, sobrio, attento. È nato a Liverpool, mi racconta, ma ha vissuto aaanni a Londra. Di recente si è trasferito a Los Angeles perché dopo la candidatura all'Oscar per Waste Land, nel febbraio scorso, lo vogliono tutti. È sul punto di ripartire per il Brasile dove girerà un altro documentario. È uno forte, si capisce subito. Scopro che ha iniziato la carriera come giornalista musicale, proprio come me. Mi racconta del documentario, di come ha cambiato mille facce lungo la lavorazione. Siamo entrambi d'accordo che Il discorso del re sia un film sopravvalutato, non meritevole di tutti quegli Oscar. Entrambi avremmo voluto vedere sul podio Christopher Nolan per il meraviglioso Inception. Gli spiego la teoria del tempismo con Shutter Island e ottengo la sua più totale attenzione. Siamo perfettamente allineati. 

A quel punto iniziamo a spettegolare di questo e quell'attore, mi racconta di quei due che si sono lasciati e lei si è messa con James Bond, di quell'attrice che si fa regolarmente tutti i macchinisti, elettricisti e tecnici dei film di cui è protagonista perché ha un debole per gli uomini in tenuta da lavoro, e di quell'altra invece che è stata con tutti i suoi partner di set da quando ha raggiunto la maggiore età...  Solo dopo aver bevuto un Mezcal, a fine pranzo, gli faccio la domanda che mi tenevo da parte da ore: "per caso sei parente di Chris Martin?" Lui mi guarda sorpreso e fa sì con la testa. "Ho un aneddoto divertente sui Coldplay..." gli dico ma non mi lascia neanche iniziare a raccontare l'episodio. Mi dice di avere lui una cosa da raccontarmi sul conto del suo lontano cugino, ma prima mi chiede di spegnere il registratore. CLICK.

La proiezione di Waste Land (Reino de basura)
nel Teatro del mar di Santa Cruz
- lunedì 11 aprile 2011 -
Miss Loto, Peter Martin e lo staff di Ambulante
a Casa Mayor, al termine della proiezione

lunedì 4 aprile 2011

Up In The Air

Venerdì scorso all'aeroporto internazionale Hux si è celebrato l'evento dell'anno: l'arrivo del primo volo di Viva Aerobús, la nuova linea aerea economica (stile Ryan Air) che collega questo piccolo pueblo con tre pescatori e un cane a Città del Messico. Ovviamente tutte le personalità politiche, Mr. Handsome in testa, nonché tutta la prensa dello stato di Oaxaca - compresi io, il negro e altri colleghi di qui - erano presenti all'evento, sebbene io fossi andata esclusivamente in veste di autista.

Alle 6.30pm, quando dal ristorante dove ero seduta in compagnia di un costruttore di Juchitán giunto lì per affari, abbiamo sentito l'inconfondibile suono dell'atterraggio, ero già entrata in un'altra dimensione con l'amico Ángel. Era da un paio di ore infatti che si parlava di cinema. Lui, un signore sui 45 anni dalla faccia simpatica, gli occhi brillanti, il sorriso sincero, non appena ha saputo che lavoravo nel cinema come giornalista ha intavolato un discorso sulla settima arte in cui mi spiegava il suo amore per Fritz Lang, Pier Paolo Pasolini e François Truffaut (chiedendomi ogni volta come si pronunciassero); mi narrava dei film che gli avevano cambiato la vita, di come facesse un lavoro regolare e avesse questa grande passione per il cinema. "Da quando ero piccolo, appena potevo scappavo in un cinematografo a perdermi nel grande schermo". Gli mostro la mia foto con Al Pacino e lui, quasi commosso, mi dice di aver profondamente amato il personaggio di "Sonny" in Quel pomeriggio di un giorno da cani di Sidney Lumet. Poi mi guarda felice, come un bambino che ha appena ricevuto un regalo, e mi ringrazia. "Non ho mai trovato nessuno con cui parlare di cinema in questa maniera". Subito dopo, indicandomi il libro che avevo notato appoggiato sul tavolo mi racconta di quella volta in cui è stato in Bolivia a vedere la stanza in cui fu ucciso Che Guevara. Senza alcun imbarazzo mi rivela di essersi messo a piangere nel vedere la lastra di pietra sulla quale fu fotografato il corpo senza vita del Che. A quel punto ci raggiunge il negro che ha finito il suo giro di interviste. Quando faccio per salutare Ángel lui mi dona il suo libro. El cuaderno verde del Che, con le poesie di Pablo Neruda, Nicolás Guillén, César Vallejo e León Felipe che Ernesto Guevara de la Serna si era annotato in un quaderno verde che portava sempre con sé. Commossa, gli chiedo di scrivermi una dedica. Lo abbraccio ed entro nella parte dell'autista, quella che ha fretta di tornare a casa per preparare la cena al marito che l'aspetta. Solo più tardi, dopo aver cucinato, riesco a leggere la dedica che mi ha fatto. "Sentados en este aeropuerto viajamos en este avión llamado cine con palomitas incluidas nos encontramos con la poesía y la música y a este personaje excepcional llamado Che". Firmato, Ángel.

Se tutti gli uomini del mondo fossero come gli uomini illuminati di Juchitán, sono sicura che il mondo sarebbe un posto migliore.


martedì 29 marzo 2011

Le avventure di Batichica e Robin

Per qualche mese - a causa di arrivi e partenze di lavoro e di piacere a non finire - Miss Loto, Wolf e l'amica Kira sono stati costretti a interrompere la visione settimanale di Lost, la serie tv che praticamente solo loro, in tutto il pianeta terra, non avevano ancora visto.
Stasera i tre naufraghi si sono ritrovati a casa Zeta per riprendere da dove avevano lasciato: stagione 03, episodio 20. Proprio quando stava per finire la prima delle tre puntate che si erano prefissi di vedere, all'incirca alle nove di sera suona il cellulare di Kira. È il velador (guardiano) di una delle proprietà che Kira e l'amica Raffaella amministrano. Stava rientrando in casa quando ha colto sul fatto due ladri intenti a scassinare la serratura della porta secondaria per irrompere nella villa. I due malintenzionati avevano fatto in tempo a scappare e lui aveva appena chiamato la polizia. "Arrivo" è la risposta decisa di Kira. "Ti accompagno" le fa eco la reportera
In macchina le due si trasformano in Batichica (è il soprannome che è stato affibbiato a Kira) e Robin (vien da sé...) e in cinque minuti esatti si materializzano sul luogo del delitto dove trovano il velador un po' scosso (e di sicuro non meno turbato nel vedere che a soccorrerlo sono due ragazze, per di più straniere). Robin afferra subito il machete appoggiato alla parete dell'ingresso, Batichica fa il giro del soggiorno e del giardino adiacente, e chiama nuovamente le forze dell'ordine per accertarsi che abbiano mandato una pattuglia. Alle nove e un quarto arriva non una, bensì due pattuglie della polizia. Si fanno spiegare quanto accaduto; tre di loro entrano in casa con le armi spiegate. Batichica e Robin si chiedono chi dei tre sia il guardiamarina e per sicurezza si tengono a debita distanza.
Nel breve interrogatorio che segue il velador dice di poter riconoscere i due scassinatori, se li vede, e viene invitato ad accompagnare la pattuglia a fare un giro d'ispezione per il centro residenziale. A quel punto Batichica e Robin vengono liquidate e fanno ritorno a casa per riprendere la loro serie preferita. Non prima di aver fatto un giro per il boulevard principale a bordo della loro batmobile per un'ultima ronda.

Da quando Batichica e Robin perlustrano le strade di Santa Cruz i cittadini possono dormire sonni tranquilli. 

 Alla Batcaverna! 

lunedì 28 marzo 2011

Bustin' Surfboards a Barra de la Cruz

In quasi due anni che io e Wolf viviamo qui non eravamo ancora mai stati a Barra de la Cruz, una spiaggia - con annessa laguna - selvaggia e infinita che si trova a circa quaranta minuti da casa nostra. E dire che tutti i nostri amici surfisti ce ne avevano sempre parlato come il non plus ultra della costa del Pacifico sud al punto che persino io, in una serata ebbra di cui ho ancora i ricordi confusi, ho iniziato a decantarne la bellezza pur non essendoci mai stata. 
Finché nel week end non ho deciso che era giunta l'ora che io e Wolf andassimo a conoscere il paradiso terrestre dei surfisti, e domenica mattina l'ho buttato giù dal letto per trascinarlo a Barra. Con noi sono venuti anche i "dudes" del GSD (Hurley direbbe i "cosi"), Papá - ovvero il mio papà messicano - e Da-man, l'altro compañero di lavoro di Wolf. La vista dall'alto del promontorio bastava da sola per togliere il respiro. Arrivati all'imbocco della statale, si srotolava sotto ai nostri occhi un tappeto verde di palme e piantagioni interrotto solo dalla stradina che ci avrebbe portato fino all'Oceano. Io e Wolf ci siamo guardati per un istante, i nostri occhi accecati da tanta bellezza, prima di iniziare a scendere con la Jeep. 
Come si può descrivere una spiaggia vergine che sembra non avere fine, con l'orizzonte che si perde nell'umida foschia delle onde? Neanche il vento che continuava a sollevare una quantità inaudita di sabbia che picchiava contro i nostri corpi unti da bloqueadores solares è riuscito a mettermi di cattivo umore (chi mi conosce sa bene che da quando ho scoperto la comodità degli scogli di Porto Venere soffro di una forma di intolleranza alla sabbia). Anzi, proprio grazie a quelle mitragliate continue di arena, ho avuto la fortuna di assistere a uno degli spettacoli più belli della mia vita.  
Munita di iPod - e selezionata la funzione "brani casuali" - decido che per evitare i colpi è meglio passeggiare lungo il bagnasciuga e inizio la mia camminata verso l'infinito. Mi avvolge la voce di David Sylvian e penso che è quanto di più bello ci possa essere per descrivere musicalmente lo scenario che mi si presenta davanti. Una lingua di sabbia bianchissima, bagnata dalle onde schiumose dell'Oceano... e in fondo, laddove arriva il mio sguardo, una moltitudine di uccelli impettiti, schierati sulla spiaggia con lo sguardo rivolto verso l'acqua cristallina. Penso: "mi voglio spingere fin lì..." Poco dopo, quando man mano che mi avvicino si fa largo dalle dune lo scorcio della laguna con le sue acque verdi, placide, immobili, ha inizio il finale - suonato al piano da Trent Reznor - della versione live di Piggy dei Nine Inch Nails (eh?!). E ancora, quando riprendo il cammino saltellando nella schiuma, parte Bustin' Surfboards dei Tornadoes (grazie Quentin!). Mi dico che io e il mio iPod ci intendiamo alla grande e sorrido felice.

L'impensabile succede alla successiva canzone. Ho appena raggiunto quella che prima appariva solo una macchia di volatili. Mi trovo a pochi passi da una cinquantina di gabbianelle, qualche avvoltoio sparso, un centinaio di pellicani tutti intenti a osservare il milione di sardine che (per qualche strana ragione) sguazza a qualche metro dalla riva. E mentre mi avvicino, sulle note di Little Bird dei Goldfrapp, la schiera di uccelli si alza in volo e si libera nell'aria proprio quando Alison Goldfrapp sussurra Now we are free, Now we are free. Di fronte a me sta andando in scena lo spettacolo più bello del mondo e io, frastornata da tanta meraviglia, inizio a battere le mani commossa e con le lacrime agli occhi ringrazio quella magnifica compagnia di ballerini in volo che mi ha regalato un attimo di intensa felicità.


Questa è la prima parte della selezione scelta dal mio iPod (e dal destino) per accompagnare la mia passeggiata a Barra de la Cruz: A Fire in The Forest - David Sylvian, Piggy - Nine Inch Nails, Ooh La La - Goldfrapp, Human Fly - Nouvelle Vague, Tired Feet - Alela Diane, Bustin' Surfboards - The Tornadoes, Little Bird - Goldfrapp, The Great Below - Nine Inch Nails.

mercoledì 23 marzo 2011

Paese che vai, comida che trovi

Ieri, dopo la puntata in radio, io e il negro siamo andati a pranzo con alcuni colleghi giornalisti. Arriviamo al ristorante in taxi e gli altri - un reportero di Salina Cruz accompagnato da una squinzia che sembrava uscita dalle Destiny's Hens, e un amico del negro attualmente disoccupato - ci raggiungono poco dopo. Hanno scelto un posto dimenticato dall'uomo, un angolo di pace e tranquillità interrotta dal ronzio delle api in lontananza e dal baldo girovagare di un'anatra indispettita dai continui attacchi di una perrita di dimensioni minuscole ma altrettanto impavida.

Gli uomini ordinano due porzioni di machaca de pescado, una sorta di pesce affumicato servito in tenere striscioline di carne, con il quale si cosparge una fetta di tostada fatta in casa e si aggiunge una salsa di pomodoro piccante in piccole o grandi quantità, a seconda del gusto e del coraggio, e volendo una spruzzata di limone. Non c'è modo di descrivere la bontà dell'unione di questi semplici elementi. Solo più tardi, dopo essermi leccata i baffi e le dita della mano, scopro di aver mangiato una manta raya. "Io una volta ho nuotato con una manta raya…", dico ripensando a quando, con Wolf, abbiamo passato mezzora in compagnia di questa specie meravigliosa delle acque, quando ancora stavamo facendo il corso di rescate PADI.

Vedendo la mia espressione meravigliata, Pancho, Villa e Marisol si sporgono sul tavolo per guardarmi da vicino e mi iniziano a chiedere a raffica: "E la tartaruga l'hai mangiata?" "No" "E le uova di tartaruga?" "No" "E l'armadillo?" "No" "E la minilla, quel piatto delizioso che fanno con la carne macinata di squalo?" "No" "E l'iguana? L'hai mai mangiato?" "No" "Non hai mai mangiato l'iguanaaa?" "…" "Ma non sai che ti sei persa!" Pancho inizia a descrivermi la maniera in cui viene cucinata la carne di quel simpatico rettile e mi assicura che dopo averla mangiata mi trasformerò in una cacciatrice di iguana. "È meglio che tuo marito ti nasconda machetes, pantaloni da battaglia e boots. Già ti ci vedo, guerrillera, in mezzo alle foreste, a dare la caccia agli iguana. Con gli elicotteri che volano nei cieli alla ricerca di quell'italiana clandestina che una volta lavorava in radio…"

Si dice che chi mangia iguana a Huatulco non lascerà mai più questo luogo. Prima o poi lo farò, e allora... hasta la vista, amigos!



martedì 22 marzo 2011

Il diario di Loto Jones

Ultimamente Miss Loto è parecchio sbadata. È come se vivesse in un mondo tutto suo nel quale è permesso dare ai volti dei conoscenti nuovi nomi, insomma, scambiarli per qualcun altro. Poi inciampa, ruzzola, sbatte contro gli spigoli delle porte, gli sgabelli dei bar, si taglia, si brucia, si scortica, ha il corpo perennemente pieno di lividi. Un vero disastro che neanche a cinque anni... Ma le sue metidas de pata (gaffe o, se preferite il francese, figure di merda), quelle sono entrate nella storia di Santa Cruz. 

Come quella volta in cui, entrando alla Crema, uno dei bar più gettonati del pueblo, è andata a salutare due suoi conoscenti sicura che uno dei due fosse tale Cubo ("Hola Cubo, ¿que tal?" "..."). Il giorno dopo, riferendo dell'incontro all'amica Kira, aggiunge: "Comunque quel Cubo lì si è fatto proprio bruttino", per poi rincontrarlo qualche ora dopo al Dublin e rendersi conto dello scambio di persona nel momento in cui Kira lo saluta per nome, Joél... Eh sì.

Ma niente batterà mai la sera in cui ha scambiato Valdes, un celebre notaio del posto con il quale aveva già conversato amabilmente (e sotto effetto alcolico) in un'altra occasione, per Salvador, un suo ex vicino di casa, costruttore, che peraltro aveva incrociato la settimana prima all'inaugurazione di una gioielleria. Ora, se anche fosse stato lui, l'ex vicino, che bisogno c'era mai di chiedergli "E dimmi, vivi ancora nell'edificio amarillo (giallo)?". Valdes l'ha guardata confuso per qualche secondo prima di girarsi un poco e indicare con il dito verso la strada alle sue spalle, aggiungendo un timido "vivo lì in fondo alla strada". Loto stava per sprofondare nel gelo che si era creato quando l'amica Kira, capita la situazione, l'ha salvata sbottando: "Valdes, che ti è preso, perché non hai risposto subito?" E lui: "Perché stavo pensando di che colore fosse la mia casa ma non sono proprio riuscito a ricordarmelo!"

In fondo è bello vivere in un posto in cui la gente, di sera, è troppo ebbra per rendersi conto delle gaffe di una rimbambita. Comunque, d'ora in poi chiamatemi Jones, Loto Jones.



lunedì 14 marzo 2011

Hattori Hanzō!

Da quando Kira e io siamo andate per la prima volta all'atelier del signor Alvaro (vedi volume I), portare vestiti a riparare, sistemare o accorciare è diventato il nostro piccolo piacere settimanale. Ogni volta che andiamo a ritirare i capi e il signor sastre (sarto) si scusa dicendo che un vestito non è ancora pronto, io e Kira ci lanciamo un'occhiata da sopra la spalla e sorridiamo compiaciute al pensiero che anche la settimana successiva l'appuntamento è assicurato. 
Da qualche tempo Wolf mi gira intorno sospettoso. Guarda il mucchio di vestiti sul letto e, dedotto che siano nuovi capi da portare a sistemare, sbuffa. E dire che ogni volta che torno a casa, gli faccio una sfilata indossando quel vestito che mi stava largo di due taglie o quel paio di pantaloni che ho fatto accorciare. Insomma, dovrebbe ritenersi più che soddisfatto.
Eppure l'altro giorno, mentre gli mostravo la lampo di una gonna che avevo appena acquistato, lamentandomi che fosse difettosa e alludendo al fatto che il giorno dopo l'avrei portata... lui mi interrompe e sbotta: "Se scopro che il sarto ha ventun anni ed è bono ti meno!"

Ah, Wolf! Se solo sapessi che il signor Alvaro assomiglia a Hattori Hanzō... 



martedì 8 marzo 2011

Loto riceve una telefonata da un numero sconosciuto

"¿Bueno?"
"Oye, stamattina sei scappata prima che riuscissi a fermarti per un caffè"
"Chi parla?"
"Sono il tuo maestro di danza"
"Juan?! Da quando ti sei fatto il cellulare?"
"Domani resta dopo la lezione, dieci minuti. Mi devi un caffè da due settimane, da quella volta in cui non ti sei presentata in classe e non mi hai avvertito..."
"Ok, promesso. Domani ti offro un caffè, purché sia italiano."
"Está bien, Bardgsbie"
"Eh?"
"Está bien, Bardgsbie"
"Non ho capito, come mi hai chiamata?"
"Barbie"
"Baaaarbieeee? E perché?"
"Perché ora che non sei più una pizza italiana ma sei diventata flaca, ti chiamerò Barbie Malibu".
"..."



Tanti auguri, a chi?

Ho scoperto che da quando vivo in Mexico lindo y querido si è risvegliata la pasionaria che era in me. Non che mi sia mai dimenticata delle lotte, delle rivoluzioni e delle conquiste, però vivere in un paese machista mi ha resa ancora più rebelde nei confronti di una società fatta dagli uomini per gli uomini di quanto già non fossi. 

Ad onor di cronaca va detto che in Messico gli uomini sono anche molto galanti. Basta portarsi una sigaretta alla bocca (ehi, tra due giorni festeggio un anno da quando ho smesso di fumare!) che de repente ti ritrovi cinque mani chiuse in pugno attorno a un accendino - come se fosse un fiore donato da un ammiratore - pronte ad appicciare il fuoco. Ti aprono lo sportello dell'auto, la porta, ti lasciano passare per prima, ti offrono sempre quello che ordini quando sei in loro compagnia e, anche se pensano che tu sia in torto marcio, ti danno sempre ragione (almeno fino a quando non ti mettono l'anello al dito - o la palla al piede). Eh. 

E pensare che l'ultima volta che sono stata in Italia in vacanza, di ritorno, all'aeroporto, un signore del nord, sulla cinquantina, allampanato e con un paio di mocassini ai piedi che non si potevano vedere, ha cercato di passarmi davanti a una fila al bar. Era già da mezzora che si era intrufolato nella coda, nel punto esatto in cui stavo aspettando il mio turno per ordinare la colazione. Lo gnorri continuava a parlare al telefono mentre mi si montava dentro la bestia. Ho aspettato di vedere fin dove si potesse spingere, ma quando, arrivato il mio turno, ha provato a passare di fronte a me gliel'ho fatto notare, dandogli del maleducato. Lo gnorri, invece di esprimere un mea culpa, cospargersi la testa di cenere e fare dietrofront per mettersi in castigo ha iniziato ad alzare la voce, dando a me della maleducata e mettendo in dubbio il mio essere signora (in pratica ha pronunciato signora come se mi stesse dando della puttana). Eh, sì. Ho dovuto placare le ire di Wolf spiegandogli che sua moglie sa benissimo come cavarsela in queste situazioni. Tant'è che lo gnorri ha dovuto davvero abbassare la testa e raggiungere l'altra estremità della coda che nel frattempo si era allungata di almeno altre venti persone. 

Qui in Messico però mi è anche capitato di conoscere degli uomini "illuminati". Proprio l'altro giorno stavo parlando con Marcos, un architetto che viene dall'Istmo, unico maschio di una famiglia di Donne composta da nonna, mamma, zie, otto sorelle, cugine, nipoti, una moglie e tre figlie femmine. "Il pueblo da dove vengo, Juchitán, è l'unica comunità matriarcale del Messico" mi racconta. Ne avevo già sentito parlare. Si son fatti decine e decine di documentari su Juchitán, in particolare perché si dice che le stesse famiglie, se sprovviste di figlie femmine, crescano l'ultimo figlio maschio come se fosse donna (li chiamano muxe - si pronuncia musce) perché possa accudire la famiglia. Non so dire se sia nato prima l'uovo o la gallina. Non so se questo sia un modo comodo per esplicare un fenomeno che si è andato accettando in uno dei paesi più omofobi del mondo, tant'è che questa tolleranza vale solo per Juchitán. 

"Tutto quello che so l'ho imparato dalle mie sorelle. Quando ero piccolo pendevo dalle loro labbra, volevo essere come loro, addirittura mi mettevo davanti allo specchio e le imitavo mentre si truccavano, passandomi il kajal sugli occhi e colorandomi le ciglia di nero con il mascara". Lui, messicano verace, padre di famiglia, che mi racconta qualcosa di così intimo senza nessunissimo timore di suonare puto (come si dice qui). E perché poi? Che c'è di più bello di crescere in mezzo a tante donne, sentirle urlare tra loro, commuoversi, tutte quante con i loro stati ormonali in subbuglio negli stessi giorni, dolci, affettuose, isteriche e forti? "Se sono come sono lo devo a loro. E non posso non provare profondo rispetto per tutte le altre donne. Quando le vedo io penso a mia madre, a mia nonna, alle mie zie, le mie figlie, vedo loro e vedo tutte le donne del mondo".

Non fatemi auguri, non regalatemi fiori in questo giorno triste e felice. Da piccola mi ci arrampicavo su un albero di mimose. E da lì guardavo il mondo dal mio giardino. Solo io (e le altre, quelle buone) sappiamo cosa vuol dire essere donna. E forse un po' anche Marcos.


giovedì 3 marzo 2011

Al calar della palpebra

In casa Zeta si lavora fino a tardi. Adesso per esempio, che sono le 11.50pm, Miss Loto sta finendo di scrivere la recensione della colonna sonora di Gnomeo e Giulietta, un film di animazione a metà tra la celebre tragedia shakesperiana e i puffi (probabilmente), mentre Wolf è impegnato in una sudatissima partita di basket della EAsports. 

La giusta punizione per gli sportivi da laptop è dover subire l'ascolto della nuova canzone di Elton John, "Hello, Hello", a ripetizione.   

Buonanotte a questa parte del mondo, buongiorno all'altra.

Interno giorno di qualche mese fa

domenica 27 febbraio 2011

Centro di recupero

Dopo qualche giorno passato in mezzo a una quantità esagerata di uomini, ieri Miss Loto, presa da nausea e convulsioni, ha chiamato l'amica Kira che poco dopo si è manifestata come per magia e in barba al lavoro hanno passato tutta la giornata insieme, tra chiacchiere, bevute, shopping, risate, discorsi (semi)seri, l'inaugurazione di una gioielleria e un after party sul mare. Poi, con fare misterioso, sono tornate dai loro uomini che le aspettavano con ansia al bar.

"Che avete fatto tutto il giorno?"
[Risposta vaga]
"E poi? Dove siete state?"
[Risposta vaga]
"No, ma è solo per sapere eh..."
[Risposta vaga]
".........."


Eh. Ci voleva.


sabato 26 febbraio 2011

What Men Want - Quello che gli uomini vogliono

Sono sempre stata abituata a muovermi con disinvoltura nel mondo degli uomini. Alle cene dei grandi alle quali accompagnavo mio padre da ragazzina ero l'unica femmina che s'interessava ai discorsi di lavoro, sport e politica e memorizzavo tutto - le sigarette lasciate a consumare nei posacenere di cristallo, il tintinnio dei bicchieri di whisky, le risate roche e le luci fioche. Questo mio interesse antropologico per un mondo che molto più spesso negava l'entrata alle donne è cresciuto con gli anni a pari passo della mia totale sicurezza nel frequentarlo. 
Da quando ho iniziato a lavorare qui mi capita spesso di essere invitata a incontri tra uomini ai quali vengo presentata come giornalista e collaboratrice in radio. Forse sapendomi un'addetta ai lavori gli uomini si sentono più a loro agio (in Messico, paese machista per eccellenza, le donne non siedono a tavola con i maschi), anche perché quando sono fra loro io sono come loro, a volte anche peggio di loro. E tengo banco. Non per niente mi chiamano Loto Marzotto (anche se in questo momento libico forse sarebbe meglio non fare certi nomi). Comunque.
Proprio ieri mattina il negro mi invita a raggiungerlo qui nel parco sotto casa per prendere un caffè con Rodrigo Lava e Raúl Palo, rispettivamente direttore e vice direttore della pubblica sicurezza comunale. Quando i due arrivano noto subito che Lava porta una pistola alla cintura. Mezzora dopo, parlando di armi in dotazione alla polizia, la tira fuori e, tolto il caricatore, la appoggia sul tavolo per farcela vedere. "Una volta in un poligono in Italia ho sparato con un Kalashnikov", dico ottenendo l'ammirazione del signore direttore. "Camarada, perché non la porti a sparare da noi qualche volta?" Da quel momento è fatta, ho definitivamente ottenuto la loro stima. 
Mi raccontano di un caso recente in cui, in un pueblo nelle vicinanze, la polizia è riuscita a sventare un tentato stupro arrivando sul luogo del delitto appena un attimo prima che l'uomo - che era già riuscito a legare e denudare la donna - possedesse con la forza la sua vittima. "In questi casi di quanti anni di carcere è la massima pena?" chiedo al vice. "In caso di stupro sono quindici anni di carcere. Per un tentato stupro possono essere anche dieci". "E quando si tratta di violenza domestica sulle donne?" "Ah, sono sicuro che un sacco di donne vorrebbero che i loro mariti andassero al gabbio per così tanti anni". [...] "No, io mi riferivo ai casi reali di violenza domestica". Lui sembra non capire.
Secondo il Ministero della Sanità del Messico, una donna su tre è vittima di violenza domestica e si stima che più di 6 000 donne muoiono ogni anno per cause legate alla violenza domestica. Secondo una indagine nazionale rilasciata nel 2006 sulla dinamica delle relazioni familiari, il 43% delle donne messicane che abbiano più di 15 anni di età è stato vittima di una qualche forma di violenza domestica. Il numero delle donne uccise dalla violenza domestica in Messico è superiore al numero delle donne uccise dalla criminalità organizzata. Sebbene i dati siano allarmanti, la maggior parte della gente non considera la violenza domestica un reato grave. Si cambia discorso.
"A che ora ti manda in onda il negro?" mi chiede il direttore. "In genere tra le 3.20 e le 3.30 però a volte non mi manda in onda per niente. Se le notizie da Oaxaca sono particolarmente calde il mio spazio musicale viene cancellato". A quel punto direttore e vice direttore fanno al negro la proposta per la quale lo avevano voluto vedere. Ovvero di poter avere uno spazio all'interno del notiziario, ogni lunedì, per informare il pubblico sul lavoro svolto dalla polizia e sulle statistiche che riguardano lo stato di Oaxaca. "Si tratterebbe di elencare i numeri di furti, omicidi, arresti e quant'altro sia successo nella settimana precedente..." assicura il direttore ma non fa neanche in tempo a terminare la frase che lo ammonisco "Sì, ma che sia breve eh, e che non tolga spazio a me o alla mia musica!"


martedì 22 febbraio 2011

A colazione da T. con il sindaco

In tanti anni di mestiere giornalistico non mi era mai capitato di essere invitata a un desayuno con il sindaco - né di entrare in un caffè sorvegliato da guardie del corpo, né tantomeno di essere osservata da segretari e guardaspalle per tutta la durata della colazione - fino a ieri mattina.
Il negro e Mr. Handsome (come lo chiamereste voi un elegante uomo di circa quaranta anni con due occhi verde marino e una stretta di mano decisa ma morbida?) sono amici da tanto tempo e, mi raccontano tra una forchettata di huevos a la mexicana (Mr. H) e una di mango-papaya-banana-ananas-melone (io e il negro), prima che il signor sindaco divenisse sindaco si frequentavano molto più spesso e passavano le ore a tavola a conversare. Adesso a "dividerli" c'è la politica e l'obiettività del reportero
Il partito di Mr. Handsome ha vinto alle ultime elezioni battendo il PRI, il partito avversario che governava indisturbato da ottanta anni. Qualche settimana dopo che Mr. H è stato eletto, un Cessna è precipitato nella sierra e secondo le primissime notizie a bordo di quell'aereo c'erano tutti i maggiori rappresentanti del PAN, compreso il neoeletto sindaco. Invece Mr. H l'aveva scampata.
Con i suoi occhi limpidi il sindaco mi racconta della costruzione completata al 70% di un ospedale abbandonato a se stesso e di documenti - appena ritrovati - secondo i quali l'ospedale risulti già finito e consegnato. Gli dico che anche in Italia queste cose sono all'ordine del giorno, lui mi sorride empatico, non so se partire con la filippica sulla questione rifiuti/mafia in Campania ma poi decido che per una volta tanto è bello sentire i problemi degli altri paesi, soprattutto se a raccontarteli è un sindaco giovane e bono

Huevos a la mexicana

sabato 19 febbraio 2011

Rosa mani di forbice

Qualche mese fa io e Kira abbiamo portato dei vestiti da una sarta del pueblo per farceli sistemare. Kira e la nostra amica comune Raffaella mi avevano messa in guardia contro i modi pochi professionali di Rosa, del suo ammucchiare i vestiti dei clienti contro la parete cementata senza nessun tipo di indicazione sui rispettivi proprietari e sul lavoro da eseguire. "Però tu non ti preoccupare, poi non si sa come ti consegna l'abito esattamente come lo volevi". Rosa vive nella zona U2, una delle più brutte del pueblo, in una casa di mattoni, quattro figlie femmine dagli 0 ai 16 anni sparse per casa e sul pavimento di concreto tra vestiti imbastiti, scampoli di stoffa e terriccio. Decisamente esotico. È l'altra faccia del Messico, bello perché verace. 
Nonostante Rosa pensi che non sia necessario provarmi il vestito bianco da restringere di una taglia, insisto abbastanza perché mi dica di andare di là in camera da letto, altri mucchi di vestiti buttati sul materasso. Quando rientro nel suo laboratorio mi guarda con la testa pendente da una parte, la mano a stringere il mento, assorta, come se stesse decidendo se comprare un etto di mortadella con i pistacchi o quel prosciutto di montagna appena iniziato. Poi s'avvicina, con le mani a chela mi calcola quanta stoffa avanza da una e dall'altra parte del torace e mi dice di cambiarmi. "Non crede che sia meglio prendere delle misure?" le chiedo timidamente, per non farla arrabbiare. "Ma no, un centimetro e mezzo da un lato, uno e mezzo dall'altro ed è fatta!" Así mis ojos.

Purtroppo non saprò mai se Rosa è davvero una maga delle forbici. Dopo tre mesi di esasperante attesa Kira l'altro giorno è andata a recuperare tutte le nostre cose. Oggi le abbiamo portate da Alvaro, un signore sarto che esegue le riparazioni, metro al collo e spilli a portata di mano, in un vero atelier, una casetta quadrata nel sector J munita di un camerino (un angolo riparato da un lenzuolo bianco), tutti gli attrezzi del mestiere e una radio. Perché il signor Alvaro mentre taglia e cuce batte il piede al ritmo della musica locale.



mercoledì 16 febbraio 2011

Miss Loto vince una scommessa

Con il negro, il direttore delle notizie che mi ospita ogni giorno all'interno del radiogiornale, ci passiamo le notizie. Domenica sera mi ha mandato un messaggio per informarmi della morte di una leggenda della musica e del cinema messicano in modo che potessi farne menzione durante il mio spazio musicale il giorno successivo. "Non voglio assolutamente che cambi nulla della tua scaletta, solo vorrei mandare un messaggio agli apaches che pensano che tu non sappia nulla di musica messicana" [...] Ieri, mentre mi stavo preparando per la puntata di oggi scopro che Valentino Rossi avrebbe compiuto gli anni così mando un messaggio al negro dicendogli di passare la notizia al suo cuate (amico) Pepe, che si occupa delle notizie sportive. Qualche ora dopo ci incontriamo per parlare di lavoro e mi chiede chi sia questo Valentino Rossi. Así mis ojos (un modo di dire locale - così i miei occhi - che indica il proprio stupore). Gli spiego chi è e lui cade dalle nuvole. "Tu forse non sai chi sia, ma il tuo cuate Pepe deve saperlo per forza!" Il negro fa l'errore di scommettere. Poi lo chiama e lo mette in viva voce. 

Lui: Pepe, chi è Valentino Rossi?
L'altro: Ma dici il motociclista?
Lui: Sì, di che nazionalità è, lo sai?
L'altro: Italiano.
Lui: Ma è ancora vivo o...
L'altro: È il numero uno al mondo, cabrón! Che domande mi fai?
Lui: Ho appena perso una scommessa con Loto. CLICK.

La posta in gioco era un pranzo in un ristorante del pueblo. Il negro dovrà offrirlo sia a me che al mio cuate Pepe.


Valentino Rossi

lunedì 14 febbraio 2011

Stella recupera punti

Stella e Flaco sono fratelli e lavorano entrambi in radio. Da quando ho iniziato la mia collaborazione con il negro all'interno del notiziario locale, mi sono stati affiancati nelle registrazioni. A turno Stella e Flaco mi consigliano come leggere senza che si noti, tagliano le mie gaffe, i respiri e le parolacce che mi escono quando sbaglio la pronuncia, e poi montano il parlato come se fossi una perfetta italiana che blatera in spagnolo di musica e altre cose.
Stella ha ventiquattro anni, si è laureata con una tesi sulla Radio commerciale Vs la Radio Culturale, e ogni volta che mi vede arrivare si illumina con un sorriso di benvenuto. Tra una registrazione e l'altra abbiamo iniziato a conoscerci e da qualche tempo siamo entrate in confidenza. L'altro giorno stavamo parlando del mestiere del giornalista.

Lei: È da poco che fai questo lavoro?
Io: No, a dire la verità sono dodici anni che faccio la giornalista.
Lei: [...] 
Io: Be', magari non sembra, ma io ho trentacinque anni, posso capire che ne dimostri di meno e quindi...
Lei: [...]

Ora, io non so se offendermi perché mi sono sentita dare della vecchia o perché mi sono sentita dare dell'incompetente. Comunque questo succedeva lunedì scorso. Oggi era di nuovo giorno di registrazione, e Stella era seduta al suo posto, seminascosta dall'immenso Mac che regna sulla scrivania, con il suo immancabile sorriso. Siccome ieri è scomparsa una leggenda della musica e del cinema messicano, Manuel Esperón, le stavo chiedendo di farmi sentire le varie versioni che avevano di una delle sue più celebri canzoni, Amorcito Corazón, per metterla nel programma di oggi. Mi fa il nome di un certo Víctor García, di cui avevo letto proprio il giorno prima. "Conosco Víctor García!" dico. "È quel chavo (ragazzo) che ha la mia stessa età!" Poi la guardo, lei mi guarda e aggiungo "Be' oddio, chavo, è quel vecchio che ha la mia età", ottenendo la sua risata cristallina. Messo in chiaro che ho iniziato a lavorare in radio qui in Messico e che non l'avevo mai fatto prima (eh sì, ho passato tutta la settimana a scervellarmi su cosa volesse dire quel silenzio e sono giunta alla conclusione che il suo "è da poco che fai questo lavoro?" si riferisse alla radio), mentre stavo sistemando le cuffie e mettendo via il microfono rompe il silenzio. "Sai, nonostante tu sia qui da relativamente poco tempo lo parli proprio bene lo spagnolo". 

Stella si è meritata un invito a pranzo. Mercoledì io e Kira la porteremo dall'indiano. E se non le dovesse piacere... be', la vendetta è un piatto da servire speziatissimo.

Manuel Esperón

sabato 12 febbraio 2011

Highly strung is over

Ieri avevo i nervi a fior di pelle. Anzi, a dire la verità erano due settimane che me ne andavo in giro tesa come la corda di un violino. Juan deve essersene accorto, perché lunedì mi ha fatto giungere la voce che il venerdì (cioè ieri sera) non avremo più ballato, salvo rivelare due giorni dopo che lo aveva detto solo per tranquillizzarmi (!). Non solo. Tutto il mondo sa che quando sono nervosa è meglio lasciarmi stare, anzi è consigliabile proprio girare al largo. In otto anni che stiamo insieme Wolf ha avuto modo di conoscere il mio lato oscuro e perciò credevo che anche in questa occasione - l'imminente presentación - si sarebbe limitato ad abbozzare con indifferenza alle mie dichiarazioni di guerra a Juan e compagnia bella. Invece no. Giovedì sera, di ritorno dalle prove a teatro, ero talmente esausta che sono sbottata e tra le lacrime ho dato il via alla mia filippica ma Wolf, invece di nascondere la faccia dietro a un quotidiano, correre a comprare le sigarette o scendere a bere una birra con chef, ha fatto l'errore di trasformarsi in un pasionario prendendo le mie difese e dicendomi cosa avrei dovuto dire a Juan quando mi sentivo trattata male (proprio tu, Wolf, marito mio). In pochi secondi il mio metro e sessantaquattro di altezza si è gonfiato fino a diventare un mostro nero dalle fauci spalancate e solo a quel punto Wolf ha capito che era meglio squagliarsela. 
Ce l'avevo con Juan perché il giorno prima dello spettacolo mi aveva inserita in un'altra parte di una coreografia che non avevo mai ballato prima e avevo solo una notte di tempo per memorizzare i passi (il che naturalmente significa che non ho chiuso occhio pensando ai movimenti da fare). In più, quando ci siamo ritrovati tutti al teatro alle 5 per le prove generali mi sono accorta di essere l'unica con il trucco nonostante Juan ci avesse chiaramente detto di presentarci già truccati. Il mio brusco saluto è stato chiedere delucidazioni in proposito per sentirgli dire che l'italiana (da qualche giorno mi chiama così) come al solito aveva capito male. Fortunatamente poco dopo è arrivata Bianca, anche lei truccata di tutto punto. Ci siamo guardate e ci siamo sentite immediatamente meglio (anche se rimaneva il mistero delle altre quindici ragazzine acqua e sapone). Del pomeriggio ho fissato nella memoria le immagini del riscaldamento fatto sotto al sole e poi al tramonto, le prove filate lisce, le chiacchiere e i massaggi per sciogliere i muscoli, le due volte che mi sono fatta accompagnare in bagno da Yole presa dal panico e la vestizione finale. Due ore dopo eravamo tutti pronti per andare in scena sotto il cielo stellato del Teatro del mar. Poi nero, luci, pubblico, musica, cou de pied, ronds de jambe, attitude, applausi, abbracci e baci tra i ballerini. Santa Cruz è stata nostra per una notte.

mercoledì 9 febbraio 2011

Rido (ma ho le lacrime)

Le kappa inutilmente compulsive di Sarita Tommasi

di Andrea Scanzi


Mi ero appena innamorato. Di Anna Maria Bernini, imprecisato onorevole del Pdl. L’avevo vista ad Annozero. Era stata mandata in prima linea, contro il fronte nemico, con la serenità di chi sa di poter fare a meno del due di picche. Essendo briscola quadri.
Bel talento, la Bernini. Pure garbata, a modo suo. Ha esordito dicendo sette volte “iato”, parola che Benedetto Croce riteneva già desueta quando faceva l’analisi testuale della Cavallina storna del Pascoli (sai che palle, il Pascoli). Poi è andata giù di brutto (cit) con parole lisergiche come “carotaggio”, di cui ovviamente ignorava il significato: per quello le diceva. Momenti inebrianti.
La Bernini mi ha colpito per due motivi. Il primo è la sperequazione – altra parola da usare sempre per fare i colti: sperequazione. Non vuol dire nulla, ma colpisce sempre lo spettatore (che è stupido: per questo esistono Pdl e Pd. Per colmare il vuoto con un vuoto al quadrato).
Dicevo, il primo aspetto conturbante di Madama Bernini è la sperequazione tra l’apparente esondazione di botox, che parrebbe tradire il desiderio di affascinare esteticamente, e un look sostanzialmente vedovile, con stivali neri morigerati, senza tacco o ammicco: quasi a dissociarsi dal suo ipotetico chirurgo estetico.
Il secondo vanto della Bernini è l’oculista. E’ lo stesso di Mara Carfagna. Entrambe hanno sempre questa espressione sgranata, questi occhi lussuriosamente a palla. Questo sguardo perennemente stupito, come di chi ha appena visto un’erezione maestosa di Mike Tyson.

Culi flaccidi e Comete di Halley un po’ anziane. Mi ero innamorato, ma è durata poco. Del resto quando ero piccolo
mi innamoravo di tutto (cit), e ora che son grande mica è cambiato nulla. Così mi sono innamorato di Nicole Minetti. Soprattutto quando ha dato del “culo flaccido” a Silvio Berlusconi. Pensateci: uno come Berlusconi può accettarla, un’offesa come “pezzo di merda”. Fa quasi curriculium. E può persino tollerare la definizione “vecchio”, sebbene egli sia immortale e definirlo vecchio sarebbe come dire che la Cometa di Halley è un po’ anziana.
Ma “culo flaccido”, diamine, no. Cribbio, no. Numi santissimi, no. E’ qualcosa che colpisce il narcisismo, che affossa il Sildenafil e offende il cipiglio delle pompette idrauliche. Non si fa.
La mia solidarietà a Berlusconi – ma anche alla Minetti che, in cinque secondi, ha detto più cose di sinistra che D’Alema in tutta la sua vita.
Poi però mi è passata la fascinazione per le LDM (Labbra Dunlop Minettiane) e mi sono nuovamente erotizzato dinnanzi a Lady Santadechè e Ravetto Regna. Le usano come milizia femminista per difendere il Sire dalle accuse di erotomania. Pensateci: i berluscones usano le donne per giustificare un 75enne della sua vita privata (e non solo privata) da apparente satiro. Sarebbe come se chiamassero François Villon per difendere le forche. William Burroughs per promuovere la disintossicazione. O me come venditore di infradito. Sarei credibile? No.
Però loro lo difendono. E la gente gli crede. Come crede alle nipoti di Mubarak. Che poi non erano mica nipoti di Mubarak. Però forse sì. Garantisce l’onorevole risorgimentale Maurizio Paniz: la versione mono di Camillo Benso Conte di Cavour.
Tutto questo però è evaporato e trasfigurato, scemato e sfumato, come lacrime sotto la pioggia (cit).

Sara Tommasi come Rosa Luxemburg. Ed è scemato perché ora esiste solo e soltanto Sara Tommasi. Essa Regna, Signoreggia e Soverchia. Ah, Sara Tommasi. Sarita Tommasi. Quella che credeva di essere a metà strada tra la Fenech e Angelina Jolie. Quella che va a piangere dal simpatico Lauro e l’anziano Sabelli Fioretti, parlando di supermercati che la minacciano e avvelenano (potrebbe provare col biologico).  Quella che ha paura di Lele Mora e lancia strali su Fabrizio Corona. Quella che, insieme ad Aida Yespica (altra arcorina) si faceva spiegare il mondo dal Mahatma dello Strategismo Sentimentale Marra in un monumentale video su Youtube. Quella che mandava auguri al Ministro La Russa, chiamandolo “amore” (stica). Quella che è laureata alla Bocconi ma usa la “k” come i gggggiovani e crede che il congiuntivo ci abbia la rogna (per questo se ne sta così alla larga).
Quella che pare viaggiasse con la guardia del corpo del Presidente del Consiglio (daje).
I suoi sms sono un bignami dell’Italia al tempo di Berlusconi. Se ne sia fatta una minima esegesi.


1) “Amore ho ankora y parfum on the skin“. A chi lo ha scritto? A George Clooney? A Raoul Bova? A Marco Travaglio?
No, a Fabrizio Del Noce. La Tommasi ci aveva ankora l’odore di Del Noce sulla pelle (e con le mani sbucciava cipolle). Che culo. Glosse al testo: 1) Sarita era pagata un tanto a “k”? 2) Quella “y” era un tributo a Chico Caramba Y Carambyta, l’amico di Zagor-te-nay? 3) Ultimamente alla Bocconi danno la lauree un po’ alla cazzo, con rispetto parlando.
2) “Se io mi devo kurare, tu piantala con la cocaina, i cani e le mignotte! E festini sexy non me ne sbatte un cazzo stronzo“. Questo lo scrive a Paolo Berlusconi. Ora, al di là della costruzione sintattica afasica (”e festini sexy non me ne sbatte un cazzo” sembra il costruttore automatico di testi vascobrondiani), affascina il riferimento ai cani: che c’entrano? Capisco la cocaina, capisco le mignotte. Capisco pure i festini: ma i cani? Che male fanno? Che colpa hanno? O era un riferimento puntuto a una imprecisata zoofilia trasversalmente praticata? Mah.
3) “Silvio vergognati! Mi hai fatta ammalare…paga i conti dello psicologo“. Qui cominciano i messaggi a Silvio. Che sarebbe Berlusconi. Il quale, se avesse contribuito a spingere Sarita dallo psicologo, sarebbe forse da plaudire. La stessa Sarita, con un bipolarismo appena accennato, poco dopo chiosa: “Amore perdonami…ho visto solo ora la tua chiamata. Ultimamente ho problemi con il telefono“. E non solo con il telefono.
4) “Spero k il governo americano inizi a dare lustro a quello ignobile nostrano con i 10 requisiti di ammissione ad Harvard. La politica è una cosa seria“. Un minuto dopo: “Non una barzelletta come l’hai intesa tu“. Venti minuti dopo: “10 requisiti per l’ammissione tra le fila dei parlamentari… tu indagato saresti già fuori. Hai capito?”.
Questa è la versione Sarita Luxemburg. La pasionaria della sinistra. Pur non essendo né pasionaria (non politicamente almeno), né di sinistra. Immaginate però se una cosa così la dicesse la Melandri. Già, immaginatelo. E basta.
5) Mi sei mancato tanto. Spero tu mi possa richiamare presto. Ti amo ancora sai? Lady X”. Sta ancora parlando con Silvio Berlusconi. Che, immagino, gli avrà risposto firmandosi “Mazinga Zeta”.

6) (Nel pomeriggio dello stesso giorno, scrive):“Ma perché non mi metti dietro solo il Mora invece k le lesbike??”. Qui non
si capisce se sta alludendo a una posizione kamasutrica, a un sandwich con due olgettine o sta scrivendo la sceneggiatura del nuovo film di Luca Barbareschi (futuro successo in prima serata  a Rai Tre). Nel dubbio, non mi rispondo.

7)“Spero k krepi kon le tue Troie”.
Sta rivolgendosi ancora (scusate: ankora) a Berlusconi. Il profluvio di kappa è ormai irrefrenabile. Del messaggio piace soprattutto quel “Troie” in maiuscolo. Probabilmente era convinta di essere dentro un poema omerico.
8 ) “Stai abusando di potere“. C’è arrivata financo Sarita Tommasi. E Veltroni no. Quando dici la sfiga.

9) “Ci vuole una buona reputazione per governare!! Anke tu fai festini Dinho deve tornare!”.
L’sms è importante perché lascia intendere che Sarita Tommasi era l’unica tifosa, insieme al marito di Benedetta Parodi, di Ronaldinho. Un giocatore così lento che perfino al Subbuteo gli hanno detto di essere meno statico.
10) (il mio preferito). Riprendi subito Ron nella tua squadra di merda o ti faccio escludere da Obama e dai grandi del mondo e dalla politica internazionale”

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Calma: questo è un messaggio importante. Ci dice tante cose. Ad esempio che Sarita Tommasi conosce molto bene Obama. E conosce benissimo la politica internazionale (qualsisi cosa voglia dire). Ha un potere tale da cacciare Berlusconi dall’Olimpo del mondo. Non solo: se vuole si trasforma in un razzo missile, mangia libri di cibernetica, tra le stelle sprinta e va (ma un cuore umano ha).
Tutto molto bello. Però ho ancora un dubbio: ma a Barck Obama, se Ron (il cantante?) andava via dal Milan, cosa gliene fregava?
Niente, non ci arrivo. Colpa mia. Dovevo laurearmi anch’io alla Bocconi. Come la Tommasi. Dovevo anch’io mangiare insalate di cibernetica. Protetto da scudi termici. Per poi diventare intergalattico. E andare a giocare su Marte. Senza così sentire gli spifferi di questo pseudo-Satyricon scritto malissimo.
Buona catastrofe.
P.S. Silvio Berlusconi ha appena detto che farà causa allo Stato. Anch’io. Per essersi fatto ridurre così. E per sua stessa mano.