martedì 29 marzo 2011

Le avventure di Batichica e Robin

Per qualche mese - a causa di arrivi e partenze di lavoro e di piacere a non finire - Miss Loto, Wolf e l'amica Kira sono stati costretti a interrompere la visione settimanale di Lost, la serie tv che praticamente solo loro, in tutto il pianeta terra, non avevano ancora visto.
Stasera i tre naufraghi si sono ritrovati a casa Zeta per riprendere da dove avevano lasciato: stagione 03, episodio 20. Proprio quando stava per finire la prima delle tre puntate che si erano prefissi di vedere, all'incirca alle nove di sera suona il cellulare di Kira. È il velador (guardiano) di una delle proprietà che Kira e l'amica Raffaella amministrano. Stava rientrando in casa quando ha colto sul fatto due ladri intenti a scassinare la serratura della porta secondaria per irrompere nella villa. I due malintenzionati avevano fatto in tempo a scappare e lui aveva appena chiamato la polizia. "Arrivo" è la risposta decisa di Kira. "Ti accompagno" le fa eco la reportera
In macchina le due si trasformano in Batichica (è il soprannome che è stato affibbiato a Kira) e Robin (vien da sé...) e in cinque minuti esatti si materializzano sul luogo del delitto dove trovano il velador un po' scosso (e di sicuro non meno turbato nel vedere che a soccorrerlo sono due ragazze, per di più straniere). Robin afferra subito il machete appoggiato alla parete dell'ingresso, Batichica fa il giro del soggiorno e del giardino adiacente, e chiama nuovamente le forze dell'ordine per accertarsi che abbiano mandato una pattuglia. Alle nove e un quarto arriva non una, bensì due pattuglie della polizia. Si fanno spiegare quanto accaduto; tre di loro entrano in casa con le armi spiegate. Batichica e Robin si chiedono chi dei tre sia il guardiamarina e per sicurezza si tengono a debita distanza.
Nel breve interrogatorio che segue il velador dice di poter riconoscere i due scassinatori, se li vede, e viene invitato ad accompagnare la pattuglia a fare un giro d'ispezione per il centro residenziale. A quel punto Batichica e Robin vengono liquidate e fanno ritorno a casa per riprendere la loro serie preferita. Non prima di aver fatto un giro per il boulevard principale a bordo della loro batmobile per un'ultima ronda.

Da quando Batichica e Robin perlustrano le strade di Santa Cruz i cittadini possono dormire sonni tranquilli. 

 Alla Batcaverna! 

lunedì 28 marzo 2011

Bustin' Surfboards a Barra de la Cruz

In quasi due anni che io e Wolf viviamo qui non eravamo ancora mai stati a Barra de la Cruz, una spiaggia - con annessa laguna - selvaggia e infinita che si trova a circa quaranta minuti da casa nostra. E dire che tutti i nostri amici surfisti ce ne avevano sempre parlato come il non plus ultra della costa del Pacifico sud al punto che persino io, in una serata ebbra di cui ho ancora i ricordi confusi, ho iniziato a decantarne la bellezza pur non essendoci mai stata. 
Finché nel week end non ho deciso che era giunta l'ora che io e Wolf andassimo a conoscere il paradiso terrestre dei surfisti, e domenica mattina l'ho buttato giù dal letto per trascinarlo a Barra. Con noi sono venuti anche i "dudes" del GSD (Hurley direbbe i "cosi"), Papá - ovvero il mio papà messicano - e Da-man, l'altro compañero di lavoro di Wolf. La vista dall'alto del promontorio bastava da sola per togliere il respiro. Arrivati all'imbocco della statale, si srotolava sotto ai nostri occhi un tappeto verde di palme e piantagioni interrotto solo dalla stradina che ci avrebbe portato fino all'Oceano. Io e Wolf ci siamo guardati per un istante, i nostri occhi accecati da tanta bellezza, prima di iniziare a scendere con la Jeep. 
Come si può descrivere una spiaggia vergine che sembra non avere fine, con l'orizzonte che si perde nell'umida foschia delle onde? Neanche il vento che continuava a sollevare una quantità inaudita di sabbia che picchiava contro i nostri corpi unti da bloqueadores solares è riuscito a mettermi di cattivo umore (chi mi conosce sa bene che da quando ho scoperto la comodità degli scogli di Porto Venere soffro di una forma di intolleranza alla sabbia). Anzi, proprio grazie a quelle mitragliate continue di arena, ho avuto la fortuna di assistere a uno degli spettacoli più belli della mia vita.  
Munita di iPod - e selezionata la funzione "brani casuali" - decido che per evitare i colpi è meglio passeggiare lungo il bagnasciuga e inizio la mia camminata verso l'infinito. Mi avvolge la voce di David Sylvian e penso che è quanto di più bello ci possa essere per descrivere musicalmente lo scenario che mi si presenta davanti. Una lingua di sabbia bianchissima, bagnata dalle onde schiumose dell'Oceano... e in fondo, laddove arriva il mio sguardo, una moltitudine di uccelli impettiti, schierati sulla spiaggia con lo sguardo rivolto verso l'acqua cristallina. Penso: "mi voglio spingere fin lì..." Poco dopo, quando man mano che mi avvicino si fa largo dalle dune lo scorcio della laguna con le sue acque verdi, placide, immobili, ha inizio il finale - suonato al piano da Trent Reznor - della versione live di Piggy dei Nine Inch Nails (eh?!). E ancora, quando riprendo il cammino saltellando nella schiuma, parte Bustin' Surfboards dei Tornadoes (grazie Quentin!). Mi dico che io e il mio iPod ci intendiamo alla grande e sorrido felice.

L'impensabile succede alla successiva canzone. Ho appena raggiunto quella che prima appariva solo una macchia di volatili. Mi trovo a pochi passi da una cinquantina di gabbianelle, qualche avvoltoio sparso, un centinaio di pellicani tutti intenti a osservare il milione di sardine che (per qualche strana ragione) sguazza a qualche metro dalla riva. E mentre mi avvicino, sulle note di Little Bird dei Goldfrapp, la schiera di uccelli si alza in volo e si libera nell'aria proprio quando Alison Goldfrapp sussurra Now we are free, Now we are free. Di fronte a me sta andando in scena lo spettacolo più bello del mondo e io, frastornata da tanta meraviglia, inizio a battere le mani commossa e con le lacrime agli occhi ringrazio quella magnifica compagnia di ballerini in volo che mi ha regalato un attimo di intensa felicità.


Questa è la prima parte della selezione scelta dal mio iPod (e dal destino) per accompagnare la mia passeggiata a Barra de la Cruz: A Fire in The Forest - David Sylvian, Piggy - Nine Inch Nails, Ooh La La - Goldfrapp, Human Fly - Nouvelle Vague, Tired Feet - Alela Diane, Bustin' Surfboards - The Tornadoes, Little Bird - Goldfrapp, The Great Below - Nine Inch Nails.

mercoledì 23 marzo 2011

Paese che vai, comida che trovi

Ieri, dopo la puntata in radio, io e il negro siamo andati a pranzo con alcuni colleghi giornalisti. Arriviamo al ristorante in taxi e gli altri - un reportero di Salina Cruz accompagnato da una squinzia che sembrava uscita dalle Destiny's Hens, e un amico del negro attualmente disoccupato - ci raggiungono poco dopo. Hanno scelto un posto dimenticato dall'uomo, un angolo di pace e tranquillità interrotta dal ronzio delle api in lontananza e dal baldo girovagare di un'anatra indispettita dai continui attacchi di una perrita di dimensioni minuscole ma altrettanto impavida.

Gli uomini ordinano due porzioni di machaca de pescado, una sorta di pesce affumicato servito in tenere striscioline di carne, con il quale si cosparge una fetta di tostada fatta in casa e si aggiunge una salsa di pomodoro piccante in piccole o grandi quantità, a seconda del gusto e del coraggio, e volendo una spruzzata di limone. Non c'è modo di descrivere la bontà dell'unione di questi semplici elementi. Solo più tardi, dopo essermi leccata i baffi e le dita della mano, scopro di aver mangiato una manta raya. "Io una volta ho nuotato con una manta raya…", dico ripensando a quando, con Wolf, abbiamo passato mezzora in compagnia di questa specie meravigliosa delle acque, quando ancora stavamo facendo il corso di rescate PADI.

Vedendo la mia espressione meravigliata, Pancho, Villa e Marisol si sporgono sul tavolo per guardarmi da vicino e mi iniziano a chiedere a raffica: "E la tartaruga l'hai mangiata?" "No" "E le uova di tartaruga?" "No" "E l'armadillo?" "No" "E la minilla, quel piatto delizioso che fanno con la carne macinata di squalo?" "No" "E l'iguana? L'hai mai mangiato?" "No" "Non hai mai mangiato l'iguanaaa?" "…" "Ma non sai che ti sei persa!" Pancho inizia a descrivermi la maniera in cui viene cucinata la carne di quel simpatico rettile e mi assicura che dopo averla mangiata mi trasformerò in una cacciatrice di iguana. "È meglio che tuo marito ti nasconda machetes, pantaloni da battaglia e boots. Già ti ci vedo, guerrillera, in mezzo alle foreste, a dare la caccia agli iguana. Con gli elicotteri che volano nei cieli alla ricerca di quell'italiana clandestina che una volta lavorava in radio…"

Si dice che chi mangia iguana a Huatulco non lascerà mai più questo luogo. Prima o poi lo farò, e allora... hasta la vista, amigos!



martedì 22 marzo 2011

Il diario di Loto Jones

Ultimamente Miss Loto è parecchio sbadata. È come se vivesse in un mondo tutto suo nel quale è permesso dare ai volti dei conoscenti nuovi nomi, insomma, scambiarli per qualcun altro. Poi inciampa, ruzzola, sbatte contro gli spigoli delle porte, gli sgabelli dei bar, si taglia, si brucia, si scortica, ha il corpo perennemente pieno di lividi. Un vero disastro che neanche a cinque anni... Ma le sue metidas de pata (gaffe o, se preferite il francese, figure di merda), quelle sono entrate nella storia di Santa Cruz. 

Come quella volta in cui, entrando alla Crema, uno dei bar più gettonati del pueblo, è andata a salutare due suoi conoscenti sicura che uno dei due fosse tale Cubo ("Hola Cubo, ¿que tal?" "..."). Il giorno dopo, riferendo dell'incontro all'amica Kira, aggiunge: "Comunque quel Cubo lì si è fatto proprio bruttino", per poi rincontrarlo qualche ora dopo al Dublin e rendersi conto dello scambio di persona nel momento in cui Kira lo saluta per nome, Joél... Eh sì.

Ma niente batterà mai la sera in cui ha scambiato Valdes, un celebre notaio del posto con il quale aveva già conversato amabilmente (e sotto effetto alcolico) in un'altra occasione, per Salvador, un suo ex vicino di casa, costruttore, che peraltro aveva incrociato la settimana prima all'inaugurazione di una gioielleria. Ora, se anche fosse stato lui, l'ex vicino, che bisogno c'era mai di chiedergli "E dimmi, vivi ancora nell'edificio amarillo (giallo)?". Valdes l'ha guardata confuso per qualche secondo prima di girarsi un poco e indicare con il dito verso la strada alle sue spalle, aggiungendo un timido "vivo lì in fondo alla strada". Loto stava per sprofondare nel gelo che si era creato quando l'amica Kira, capita la situazione, l'ha salvata sbottando: "Valdes, che ti è preso, perché non hai risposto subito?" E lui: "Perché stavo pensando di che colore fosse la mia casa ma non sono proprio riuscito a ricordarmelo!"

In fondo è bello vivere in un posto in cui la gente, di sera, è troppo ebbra per rendersi conto delle gaffe di una rimbambita. Comunque, d'ora in poi chiamatemi Jones, Loto Jones.



lunedì 14 marzo 2011

Hattori Hanzō!

Da quando Kira e io siamo andate per la prima volta all'atelier del signor Alvaro (vedi volume I), portare vestiti a riparare, sistemare o accorciare è diventato il nostro piccolo piacere settimanale. Ogni volta che andiamo a ritirare i capi e il signor sastre (sarto) si scusa dicendo che un vestito non è ancora pronto, io e Kira ci lanciamo un'occhiata da sopra la spalla e sorridiamo compiaciute al pensiero che anche la settimana successiva l'appuntamento è assicurato. 
Da qualche tempo Wolf mi gira intorno sospettoso. Guarda il mucchio di vestiti sul letto e, dedotto che siano nuovi capi da portare a sistemare, sbuffa. E dire che ogni volta che torno a casa, gli faccio una sfilata indossando quel vestito che mi stava largo di due taglie o quel paio di pantaloni che ho fatto accorciare. Insomma, dovrebbe ritenersi più che soddisfatto.
Eppure l'altro giorno, mentre gli mostravo la lampo di una gonna che avevo appena acquistato, lamentandomi che fosse difettosa e alludendo al fatto che il giorno dopo l'avrei portata... lui mi interrompe e sbotta: "Se scopro che il sarto ha ventun anni ed è bono ti meno!"

Ah, Wolf! Se solo sapessi che il signor Alvaro assomiglia a Hattori Hanzō... 



martedì 8 marzo 2011

Loto riceve una telefonata da un numero sconosciuto

"¿Bueno?"
"Oye, stamattina sei scappata prima che riuscissi a fermarti per un caffè"
"Chi parla?"
"Sono il tuo maestro di danza"
"Juan?! Da quando ti sei fatto il cellulare?"
"Domani resta dopo la lezione, dieci minuti. Mi devi un caffè da due settimane, da quella volta in cui non ti sei presentata in classe e non mi hai avvertito..."
"Ok, promesso. Domani ti offro un caffè, purché sia italiano."
"Está bien, Bardgsbie"
"Eh?"
"Está bien, Bardgsbie"
"Non ho capito, come mi hai chiamata?"
"Barbie"
"Baaaarbieeee? E perché?"
"Perché ora che non sei più una pizza italiana ma sei diventata flaca, ti chiamerò Barbie Malibu".
"..."



Tanti auguri, a chi?

Ho scoperto che da quando vivo in Mexico lindo y querido si è risvegliata la pasionaria che era in me. Non che mi sia mai dimenticata delle lotte, delle rivoluzioni e delle conquiste, però vivere in un paese machista mi ha resa ancora più rebelde nei confronti di una società fatta dagli uomini per gli uomini di quanto già non fossi. 

Ad onor di cronaca va detto che in Messico gli uomini sono anche molto galanti. Basta portarsi una sigaretta alla bocca (ehi, tra due giorni festeggio un anno da quando ho smesso di fumare!) che de repente ti ritrovi cinque mani chiuse in pugno attorno a un accendino - come se fosse un fiore donato da un ammiratore - pronte ad appicciare il fuoco. Ti aprono lo sportello dell'auto, la porta, ti lasciano passare per prima, ti offrono sempre quello che ordini quando sei in loro compagnia e, anche se pensano che tu sia in torto marcio, ti danno sempre ragione (almeno fino a quando non ti mettono l'anello al dito - o la palla al piede). Eh. 

E pensare che l'ultima volta che sono stata in Italia in vacanza, di ritorno, all'aeroporto, un signore del nord, sulla cinquantina, allampanato e con un paio di mocassini ai piedi che non si potevano vedere, ha cercato di passarmi davanti a una fila al bar. Era già da mezzora che si era intrufolato nella coda, nel punto esatto in cui stavo aspettando il mio turno per ordinare la colazione. Lo gnorri continuava a parlare al telefono mentre mi si montava dentro la bestia. Ho aspettato di vedere fin dove si potesse spingere, ma quando, arrivato il mio turno, ha provato a passare di fronte a me gliel'ho fatto notare, dandogli del maleducato. Lo gnorri, invece di esprimere un mea culpa, cospargersi la testa di cenere e fare dietrofront per mettersi in castigo ha iniziato ad alzare la voce, dando a me della maleducata e mettendo in dubbio il mio essere signora (in pratica ha pronunciato signora come se mi stesse dando della puttana). Eh, sì. Ho dovuto placare le ire di Wolf spiegandogli che sua moglie sa benissimo come cavarsela in queste situazioni. Tant'è che lo gnorri ha dovuto davvero abbassare la testa e raggiungere l'altra estremità della coda che nel frattempo si era allungata di almeno altre venti persone. 

Qui in Messico però mi è anche capitato di conoscere degli uomini "illuminati". Proprio l'altro giorno stavo parlando con Marcos, un architetto che viene dall'Istmo, unico maschio di una famiglia di Donne composta da nonna, mamma, zie, otto sorelle, cugine, nipoti, una moglie e tre figlie femmine. "Il pueblo da dove vengo, Juchitán, è l'unica comunità matriarcale del Messico" mi racconta. Ne avevo già sentito parlare. Si son fatti decine e decine di documentari su Juchitán, in particolare perché si dice che le stesse famiglie, se sprovviste di figlie femmine, crescano l'ultimo figlio maschio come se fosse donna (li chiamano muxe - si pronuncia musce) perché possa accudire la famiglia. Non so dire se sia nato prima l'uovo o la gallina. Non so se questo sia un modo comodo per esplicare un fenomeno che si è andato accettando in uno dei paesi più omofobi del mondo, tant'è che questa tolleranza vale solo per Juchitán. 

"Tutto quello che so l'ho imparato dalle mie sorelle. Quando ero piccolo pendevo dalle loro labbra, volevo essere come loro, addirittura mi mettevo davanti allo specchio e le imitavo mentre si truccavano, passandomi il kajal sugli occhi e colorandomi le ciglia di nero con il mascara". Lui, messicano verace, padre di famiglia, che mi racconta qualcosa di così intimo senza nessunissimo timore di suonare puto (come si dice qui). E perché poi? Che c'è di più bello di crescere in mezzo a tante donne, sentirle urlare tra loro, commuoversi, tutte quante con i loro stati ormonali in subbuglio negli stessi giorni, dolci, affettuose, isteriche e forti? "Se sono come sono lo devo a loro. E non posso non provare profondo rispetto per tutte le altre donne. Quando le vedo io penso a mia madre, a mia nonna, alle mie zie, le mie figlie, vedo loro e vedo tutte le donne del mondo".

Non fatemi auguri, non regalatemi fiori in questo giorno triste e felice. Da piccola mi ci arrampicavo su un albero di mimose. E da lì guardavo il mondo dal mio giardino. Solo io (e le altre, quelle buone) sappiamo cosa vuol dire essere donna. E forse un po' anche Marcos.


giovedì 3 marzo 2011

Al calar della palpebra

In casa Zeta si lavora fino a tardi. Adesso per esempio, che sono le 11.50pm, Miss Loto sta finendo di scrivere la recensione della colonna sonora di Gnomeo e Giulietta, un film di animazione a metà tra la celebre tragedia shakesperiana e i puffi (probabilmente), mentre Wolf è impegnato in una sudatissima partita di basket della EAsports. 

La giusta punizione per gli sportivi da laptop è dover subire l'ascolto della nuova canzone di Elton John, "Hello, Hello", a ripetizione.   

Buonanotte a questa parte del mondo, buongiorno all'altra.

Interno giorno di qualche mese fa