sabato 5 febbraio 2011

La versione di Loto

Juan è il mio maestro di danza. Quando io e Wolf abitavamo ancora nella nostra prima casa messicana, a Colorin, in centro, ogni mattina passavo davanti al locale dove dava le sue lezioni prima di trasferirsi con tutta la compagnia arriba del ristorante Blue, e lo potevo sentire urlare ai suoi alunni. A quei tempi pensavo ancora che il pazzo che strillava e si poteva sentire fino in strada fosse un insegnante di work out. Uno pensa alla danza contemporanea e si immagina un maestro dai modi delicati, severo sì, ma non urlone. Juan non sa cosa sia la grazia a meno che non stia ballando. Comunque. Grazie a un'amica di Kira che frequentava le sue lezioni, mi sono iscritta al corso per principianti.
Quando ero piccola ballavo. A sei anni mammina cara mi fece scegliere tra il piano e la danza e io scelsi la seconda. Sognavo di fare la ballerina a New York, come l'Alex di Flashdance. Da grande volevo avere un cane, un lavoro da maschio in un cantiere, guardare le figure delle riviste francesi, vivere in un loaft a Brooklyn e girare in bicicletta. Così ho continuato a ballare, principalmente moderna, jazz e quello che all'epoca si chiamava funky televisivo (ispirato a Heather, Lorella e le altre), fino alla maggiore età. Ho anche provato a entrare in una School Of Arts a Uppsala, in Svezia, facendo una regolare audizione, ma non sono mai stata veramente portata e il comitato di ammissione deve essersene reso conto visto che mi ha bocciato. Juan invece deve essere cieco, perché dopo solo qualche mese mi ha promossa alla classe avanzata e a fine 2010, senza chiedere il mio parere, mi ha inserita tra i ballerini della compagnia.
Io e Juan abbiamo un rapporto di amore-odio. Quando ha cominciato a pretendere di più da me io pensavo di non essere ancora pronta, così, quando ho saputo di far parte della compagnia mi sono ribellata e ho iniziato a mostrare il mio scontento. "Non voglio più ballare dal vivo", gli dicevo. "Non sono pronta! Non sono allo stesso livello degli altri!" "Non mi mortificare", mi rispondeva lui. Juan non vuole che si dica "Non posso". E per questo lo ringrazio. Lo ringrazio anche per avermi lasciata libera quel famoso giorno in cui gli dicevo di non voler fare parte della compagnia. "Io penso che tu sia pronta, ma se non vuoi, puoi benissimo ricominciare a frequentare le lezioni delle 8 (principianti) e delle 9  (avanzati) e andartene via alle 10 (dalle 10 alle 11 è l'ora in cui la compagnia prova le nuove coreografie). Io ho continuato ad andare al mio orario (9-11) e per qualche settimana Juan mi ha fatto fare meno esercizi degli altri ("Güera, tu fai solo cento addominali, tutti gli altri i soliti trecento. Forzaaaa!" oppure "Niña fresa, tu riposa dopo trenta grand plié, tutti gli altri cinquanta e non uno di menooo!) finché non è tornato tutto come prima, ma stavolta perché lo avevo deciso io.
Juan mi chiama güera (bianca), niña fresa (ragazzina snob), panzona, ma io so che mi ama nonostante sia dell'altra parrocchia. Anch'io lo amo, anche quando mi tratta male. Juan è quello che quando ho iniziato a mostrare i primi miglioramenti mi ha preso come esempio per tutta la classe: "Loto, quanti anni hai tu?" "Trentaquattro" "Vedete ragazzi come ci si può mantenere bene ANCHE a questa età?" Io, Yolanda, Lucy e Noé siamo gli unici attempati della compagnia, a parte Juan che ne ha trentanove; gli altri ragazzi hanno tra i sette e i sedici anni. Io però sono l'unica straniera e spesso vengo presa in giro per questo, soprattutto dai più piccoli. Come quando quella volta, invece di dire pies descalzos dissi pies desnudos ottenendo le risatine isteriche delle bambine (qui i piedi sono sempre scalzi, mai nudi, sappiatelo). 
Juan ha coniato un nuovo termine per "bere". Invece di dire idratense dice alotense riferendosi a me perché sono l'unica che chiede sempre di poter bere, al di là del regolamento, un po' di acqua durante la lezione. 
Devo ammettere, però, che Juan mi ha salvato. Quando pensavo che questo piccolo villaggio con tre pescatori e un cane mi stesse stretto, quando non mi sentivo ancora comoda qui, lui mi ha accolta nella sua classe e nella sua vita e, poco alla volta, mi ha introdotta agli usi e costumi messicani spalancandomi gli orizzonti. Grazie a lui e ai ragazzi di Despertares il mio spagnolo è migliorato e io sono diventata una ballerina migliore (ho anche smesso di fumare e non bevo più tanto come prima) e per questo gli sarò riconoscente a vita.

Juan, nonostante tutta la fatica, i lividi, l'acido lattico, i piedi rotti, l'impegno, le tue urla, i nomignoli e quant'altro, io sono pronta a seguirti in capo al mondo, per ballare con te sull'ultimo palcoscenico di questa nostra meravigliosa terra.

Festival del mar/XI Aniversario Compañía de danza Despertares



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